E finalmente è uscito anche in Italia! Sabato scorso, per caso, mentre guadagnavo l'uscita da una piccola libreria nei pressi di Piazza Navona, me lo sono ritrovato davanti, con mia grande sorpresa!
Avevo parlato di questo libro non molto tempo fa, entusiasta dell'allora recente acquisto della versione originale in inglese. Sono ancor più entusiasta che Quiet di Susan Cain sia già disponibile nella versione italiana. Amo coloro che sfidano lo status quo e il pensiero comune e considero questo libro una specie di spartiacque che farà sicuramente parlare molto di sé.
Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare
Il mondo è pieno di introversi: li vediamo, anche se non li sentiamo. A volte ci disturbano, con la loro reticenza. Altre volte ci affaticano, perché cedono sempre il passo a noi. Altre volte ancora li apprezziamo, perché sembrano innocui. Sono almeno un terzo delle persone che conosciamo: sono quelli che preferiscono ascoltare, invece che parlare; che preferiscono leggere invece cha fare vita sociale; quelli che creano e inventano, ma che non ostentano la loro opinione. A molti di loro dobbiamo alcuni dei più grandi progressi dell’umanità: dalla teoria della gravità, all’invenzione del computer, da Harry Potter a Google. Ma come trovano spazio gli introversi in una società che sembra premiare solo le personalità estroverse, competitive ed egocentriche? Raccontando anni di esperienza come consulente e il suo passaggio da una timidezza riluttante a una timidezza orgogliosa, Susan Cain accende un riflettore sugli introversi che sono fra di noi, spiegandone la forza e il ruolo nella nostra società. Ne nasce un libro unico, che è diventato sin dal momento della sua pubblicazione un caso editoriale negli Stati Uniti, e si avvia ad esserlo in tutto il mondo.
Resistendo alla mia tentazione di comprare anche la copia in italiano (lo farei, se le finanze me lo consentissero :D), ho notato che sul retro di copertina, a differenza della versione originale, è stampato il Manifesto degli Introversi, che l'autrice ha scritto negli ultimi mesi. Alcuni punti li condivido a pieno e desidero condividerli anche con voi, mi farebbe molto piacere ricevere un vostro feedback a riguardo. Buona lettura!
1. Esiste una definizione per “quelli che stanno troppo rintanati nella loro testa”: pensatori.
2. La nostra cultura ammira giustamente chi sa rischiare. Ma ora, più che mai, abbiamo bisogno di chi sa riflettere.
3. La solitudine può essere un catalizzatore dell’innovazione.
4. Gli sms hanno preso piede perché, in una società altamente estroversa, tutti fremono per una comunicazione asincrona, che non sia faccia a faccia.
5. Se vostro figlio preferisce lavorare in autonomia e socializzare con una persona alla volta, non c’è niente di male: semplicemente non corrisponde al modello standard.
6. La prossima generazione di introversi può e deve crescere nella consapevolezza della propria forza.
7. A volte fare il finto estroverso può servire. C’è sempre tempo per essere introversi.
8. Nel lungo periodo, però, essere onesti con il proprio temperamento è la chiave per trovare un lavoro da amare e che abbia significato.
9. Ognuno può brillare, sotto la giusta luce. Per alcuni è un riflettore di Broadway, per altri una lampada da tavolo.
10. Un nuovo rapporto autentico vale di più di una manciata di biglietti da visita.
11. Non c’è niente di male ad attraversare la strada per evitare una chiacchierata del più e del meno.
12. “Leadership introversa” non è un ossimoro.
13. Il desiderio universale di paradiso non ha tanto a che fare con l’immortalità, quanto con l’augurio di un mondo in cui tutti siano sempre gentili.
14. Se lo scopo della prima metà della vita è mettersi in gioco, quello della seconda metà è dare un senso al proprio percorso.
15. L’amore è essenziale, essere socievoli è un optional.
16. Con la gentilezza, si può scuotere il mondo. Gandhi
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Cercare di stabilire un Contatto con qualcuno è perfettamente inutile, se prima non lo fai con il Tumulto. Lo hai saputo sabato scorso e non hai saputo resistere.
Esserci. Esattamente al centro, nel punto di congiunzione tra la linea che conduce al cielo e quella che ti lega alla terra.
"Riaprite gli occhi!", e accorgersi che, neanche a dirlo, tu non li avevi nemmeno chiusi.
"Sono il tuo tumulto." Sulle prime non comprendi, ti dispiaci quasi che si senta responsabile del tuo momento critico. Poi realizzi, eppure il dialogo non si compie, non come un filo diretto tra il te ed il Tu. Resti vigile, come sempre. E ti dispiace.
Non demordi, agile ti muovi mascherando ogni titubanza, sei tu a condurre la Danza. E vorresti insegnarmela, ma è ancora presto, anche se scalpito. Mi aggrappo, tenace, al sottile filo che separa un'energia potenzialmente meravigliosa dal pericolo, concreto, di mandare tutto a puttane. Sai che se non riesci a dominarlo, il Tumulto ti travolgerà. Dovrai guardarlo, un poco alla volta, sbirciando dal buco della serratura fino al giorno in cui ti deciderai ad aprire la porta. "Dovresti proprio conoscerlo, sentire cosa ha da dire. Vedrai, ti sorprenderà!".
Vorresti con tutta te stessa che ci fosse lei a guidarti, a tenerti la mano mentre avanzi, terrorizzata dalla marea che potrebbe sommergerti e, con te, tutti i tuoi Sogni.
Stanotte ti ho sognato, a proposito di Sogni. Eri bellissimo, come sempre. Occhi nei quali specchiarsi, parole che non posso dire, è troppo tempo che non riesco a parlare. Non trovi che sia un peccato?
Salto da un tu all'altro, cripticamente, perché, al momento, è il miglior modo che conosco per soddisfare il mio Bisogno di condivisione. Non il migliore, ne convengo, ma non so fare di meglio. Non che a qualcuno importi, tranne che a me. Sto divagando.
Esco di lì con una sensazione di leggerezza che mi fa fluttuare per le luminose strade romane che dai pressi di Piazza Navona mi riportano a Piazza Venezia, e il Natale mi pare per qualche ora meno merdoso del solito. Sono fiduciosa, piena di speranza. Come se avessi trovato finalmente il percorso che stavo cercando, la chiave per aprire quella porta che era rimasta in sospeso.
Dovrò aspettare gennaio, ma intanto ho aggiunto altri amuleti alla mia preziosa collezione di guide per l'Anima. E intanto fremo, e fremo, e fremo. Perché è così difficile EsserCi?
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Rido. Non riesco a crederci.
Due fantasmi.
Ancora i miei sedici anni.
Un Tu che non esiste più. Redivivo.
L'immagine, attuale, di com'eri prima.
Un altro Tu che esiste ancora, altrove.
Un clone assolutamente credibile.
Troppe le somiglianze, per non sorriderne.
Nello stesso posto, asincronicamente, per lo stesso scopo. In tempi diversi.
Mi viene da ridere ancora.
Aspetto. Non intendo forzare. Non più.
Finito è il tempo dell'impulsività urgente. Finito il tempo degli "oraomaipiù".
Adesso (a)spetta a Voi.
Campa, cavallo!
Intanto, una piccola fenice porta la luce dove prima era il buio.
O, almeno, ci prova.
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Seduta accanto al finestrino sulla poltroncina singola di una carrozza di seconda classe torno a Roma. E' strano, e insieme emozionante, guardare da un'altra prospettiva la strada di campagna dove la mia canetta ed io abbiamo passeggiato insieme, dove le ho dato fiducia e l'ho liberata del guinzaglio godendo con gli occhi e anche qualcosa in più della sua gioia per la libertà ritrovata, delle sue corse pazze e il suo tornare, al mio richiamo. Da me, che così tanto fatico a fidarmi degli altri e tu, da buona amica quale sei, me l'hai fatto notare.
Ricordo ancora il giorno in cui è arrivata a casa nostra e il tempo che ci è voluto per conoscerci, sfiorarci, annusarci, litigare e riappacificarci. Le sfide vinte insieme, le paure superate e quelle ancora vive. L'affetto che si trasmette, silenzioso, da uno sguardo all'altro, senza parole. Lei mi insegna che si può cambiare, drasticamente, quando siamo amati, guidati, accolti e lasciati liberi di essere noi stessi.
Il suo carattere emerge di giorno in giorno con più chiarezza. Lontana sembra ormai la timidezza, reclama coccole e territorio senza più timore. Quante risate mi fa fare! In strada non manca di lanciarsi alla rincorsa di carezze, puntando da lontano quegli abitanti del quartiere a cui sa di piacere e che piacciono a lei. Quanta gioia è per me vederla scorrazzare nei boschi, annusando a destra e a manca senza sosta, calpestare il fogliame, rotolarsi sulla schiena come un'ossessa e ogni tanto scavare. Con noi ha persino imparato a giocare! Ora un bastone, ora una pigna, ora un frisbee, persino al mare. Quest'ultimo anno, in modo diverso dal precedente, è stato duro. Ma di una cosa sono certa: adottare la canetta è stato un dei regali più grandi potessi farmi.
Maggio è stato il mese del cuore lanciato oltre ogni ostacolo, solcando l'oceano, incontrando anime sorelle lungamente attese, la cui onda positiva e luminosa continua ancora a guidarmi. Novembre sarà il mese della nuova semina. Non sarà facile, già lo so, e ho paura. Ma è ciò che desidero da tempo e sono fiera di me per aver trovato il coraggio. Non è facile perseguire un obiettivo come questo, ma non ho nessuna intenzione di fermarmi. A piccoli passi, uno dietro l'altro, sento di potercela fare. Di dovercela fare.
Ieri sono stata a trovare gli ex colleghi di mio padre. Una di loro continua a scrivermi ad ogni ricorrenza. A ottobre per una bella e una brutta. Le sono grata per farlo. L'ufficio non è più lo stesso e sono rimasti in pochi, nello stabile al di là della strada. L'ultima volta che ero stata nella vecchia sede ne ero uscita con un macigno sul cuore, troppe le emozioni, troppi i ricordi. Mi ero ripromessa di non tornare più lì, di risparmiarmi il magone. E invece no. Ci sono andata, con la scusa di portar loro qualcuna delle bomboniere che avevo confezionato per il mio matrimonio. Papà lo avrebbe fatto. Non mi aspettavo il regalo, e invece c'era pure quello. E non è l'oggetto materiale in sé, ma il gesto, che mi ha commosso. Gli uffici di una volta, con il lavoro che durava una vita, nello stesso posto, con le stesse persone, che alla fine diventano quasi una famiglia. Quel lavoro che oggi non esiste più.
Alemanno ha vietato i pranzi al sacco a Roma. Me ne sono fregata. In una piazza un po' nascosta e silenziosa, che quasi sembrava di essere Altrove, ho pasteggiato con acqua fresca di fontana e un tramezzino al salmone, acquistato al distributore automatico di una delle mie ex sedi universitarie. Devo mimetizzarmi ancora bene, ai miei 32 anni (appena) suonati, perché due studentesse mi hanno fermato per domandarmi dove fosse l'aula magna. Ho avuto una breve esitazione - sono anni che non metto piede là dentro -, poi ho risposto, convinta: "di sopra!". Ma in fondo non ne ero affatto sicura.
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Polvere, sabbia, pesciolini d'argento. Pezzi di vita che riemergono ancora, dimenticati. Sto prendendo forma. Ancora.
Sento che ci siamo quasi, che il tempo dei buchi neri e del caos sta per avviarsi alla degna conclusione. Ci voleva un pezzo di cornicione crollato nella mia ex stanza - fortunatamente quando non c'era nessuno sotto! - per accelerare i tempi e spingermi a svuotare - finalmente - pile di scaffali. Rimettere mano al disordine di più di un lustro e spolverare, riguardare, selezionare, raggruppare, inscatolare.
Audiocassette, quaderni di appunti scolastici e universitari, tesi e tesine, dispense e libri fotocopiati, alcuni rilegati altri no, dépliant di località italiane e straniere, ricordi di viaggi ancora da riorganizzare, cartoline, lettere e diari, e ancora libri in svariate lingue, per bambini e per adulti, e pezzi di sceneggiature, mie e non mie, soggetti, scalette, tracce di stages e controstages, sogni e promesse, e progetti per dare una svolta, a me che non potevo più aspettare...
Quasi non ci credo! E sempre più mi convinco che se fossi andata in un altro paese, magari a Londra, a quest'ora potrei essere una story editor. Sì, finalmente l'ho detto! Perché dovrei vergognarmi di qualcosa in cui ho creduto, per cui ho sputato sangue, ho lottato, ho stretto denti e pugni, ricevuto complimenti, persino! Sudati, meritati e, purtroppo, mai davvero (ri)pagati?
Non ho rimpianti, se è questo che vi chiedete. Solo la consapevolezza che il talento - e c'era, perché così mi è stato detto più e più volte da gente che conosce il mestiere - non ce lo si dovrebbe lasciar scappare tanto facilmente. Menti più accorte e capaci di guardare al futuro vi avrebbero investito, anziché lasciarlo andare, accontentandosi del primo schiavo disposto - tra migliaia - a farsi sfruttare. Ma tant'è. Ché tanto il destino, se pure avessi insistito a sfidarlo andando ancora avanti con le dispense vuote, non m'avrebbe comunque portato a scrivere ciò che davvero mi sta a cuore. E allora, a che pro? Meglio così, l'aver accumulato esperienza mi servirà, un giorno, per tirarmi fuori dalle viscere ciò che deve essere raccontato.
Sono passati cinque anni. A pensarci è un'eternità, e mi spaventa. A volte penso che non ne sarei più capace, che tutto è perduto, che il treno ormai è passato e non se ne fa più niente. Ma poi mi immagino un giorno finalmente sbloccata a riversare parole senza più fermarmi. Non è assurdo? Amare scrivere e non riuscire più a farlo?
Tutto sta a rimuovere il blocco iniziale. Ora, forse, potrei sapere come fregarlo. Ora che sto riassemblando pian piano i pezzi e ricostruendo un passato confuso, frammentario.
Quando avrò finito inizierà il bello. Proporlo e difenderlo, con orgoglio e con coraggio. L'intraprendenza non mi manca. E se qualcuno dovesse chiedermi che cosa ho fatto per tutto questo tempo, risponderò, fiera e con il sorriso furbo di chi già si aspettava questa domanda: ho vissuto, se non vi fa schifo!
YUKI, AKA PRISMA
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Soundtrack: Baba O'Riley - The Who
Out here in the fields
I fight for my meals I get my back into my living. I don't need to fight
To prove I'm right I don't need to be forgiven.
yeah,yeah,yeah,yeah,yeah
Don't cry
Don't raise your eye
It's only teenage wasteland
Sally, take my hand
We'll travel south cross land Put out the fire
And don't look past my shoulder.
The exodus is here
The happy ones are near Let's get together
Before we get much older.
Teenage wasteland
It's only teenage wasteland. Teenage wasteland
Oh, yeah
Its only teenage wasteland They're all wasted!
Le due di notte, dopo Amadeus. Una voglia incredibile di rivedere il tuo volto. E toccarlo, anche. Morbide guance sotto le mie dita. Il folle desiderio di essere di nuovo acclamata per la mia scrittura. Nostalgia di un tempo in cui lo scrivere era impetuoso, salvifico, incosciente! Quanto dolore vi si nascondeva sotto, e quanto ne fluiva, riga dopo riga! Intenso era lo scambio, almeno quanto lo era la paura di essere scoperta, come se rivelare l'anima in versi o periodi di varia natura fosse peccato.
Continua a scriversi in me quel romanzo che attendo da tempo. Lo fa quando meno me lo aspetto, e son lontana dalla penna o da una tastiera. Lo fa mentre mi lavo via di dosso lo sporco di una giornata rovente, passata a ridipingere una ringhiera arrugginita tornata a nuova vita, sotto il getto d'acqua calda, non proprio bollente. Lo fa e io lo ringrazio per la fiducia che mi dimostra e che spero non si riveli mal riposta.
Sogno personaggi esistiti, poco inventati, che trasformerei cambiando loro il nome, magari la faccia e i connotati. Li amerei tutti, uno per uno, non come figli, ma come improbabili amanti! Li vestirei per poi spogliarli dalla testa ai piedi, insolentemente. Li seguirei, silenziosa, insinuandomi tra le pieghe delle loro giornate bidimensionali, mi tufferei nel cuscino ancora caldo dei loro risvegli, e li divorerei, con sinuosa avidità, senza malizia, per il puro gusto dell'esplorazione umana e per celebrarne la bellezza, Luci e Ombre.
Non resta che farlo, smettere di pensarlo, sognarlo, accarezzarlo. Fottersene del cuore in gola che tenta di fermarci, di metterci in guardia. Dire finalmente ciò che da sempre si ha nel cuore, senza pensare che potrebbe non interessare affatto chi ci sta di fronte. Dirlo tutto d'un fiato e poi, magari, correre via imbarazzati. Con la differenza che, stavolta, qualcuno potrebbe trattenerci, prendendoci per mano, per averne ancora...
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E poi capita che qualcuno, dall'altra parte del pianeta, spenda tempo e soldi per mandarti un regalo speciale, come segno - ma non solo - di gratitudine per una parola uscita dal cuore durante un incontro di quelli che ti cambiano la vita e il modo di concepirla.
Capita anche che qualcun altro abbia improvvisamente voglia di vederti e, nel giro di qualche mail, le distanze diventino zero e ci si ritrovi a parlare per ore, come se non si fosse fatto altro per anni. E finisci per sentirti una perfetta idiota soltanto ad aver pensato che la tua compagnia non fosse (più) desiderabile.
Capita poi che qualcuno che non hai ancora mai visto - ma che senti di conoscere da una vita - ti affidi un pezzettino di anima con la promessa di un caffè o un bicchiere di vino insieme, un giorno.
Capita che un incubo si trasformi in concime. E che la pianta inizi a cacciare fuori a fatica i suoi primi germogli. Puoi anche far finta di non crederci, quando la paura tenta di fotterti, ma sono lì e ti inchiodano alle tue responsabilità, che poi sono anche i tuoi sogni e li stavi aspettando da anni.
Novembre. Una promessa di nuova vita per qualcuno. L'inizio di una resurrezione per qualcun altro.
Continui a riguardare ogni giorno le foto del tuo matrimonio. Ti sembra a volte di guardare qualcun altro. Che la giovane donna raggiante vestita in blu non sia tu, ma un'altra. Che la famiglia acquisita non sia la tua, e che quei due bei ragazzoni che adesso sembrano due divi di Hollywood un tempo non siano stati dei bimbetti vispi e affettuosi a cui stringevi la mano per attraversare insieme la strada.
Ti concentri ogni volta su un particolare diverso, fino a perderti sempre nello stesso medesimo istante cristallizzato. Il dipinto sfocato di due anime che si sfiorano, incastonate in un disegno molto più grande, con la voglia di dirsi molto di più di quanto consenta quella semplice istantanea malriuscita e, proprio per questo, così suggestiva.
Una traiettoria di sguardi che prelude a un non detto. Tutto l'affetto di una vita che resta silente e si manifesta furtivo, imbarazzato. Chi avrebbe mai detto che avessimo così tanto in comune? Chissà, forse un giorno ne parleremo.
Intanto, ogni giorno che passa mi sento a un passo dalla felicità assoluta e, al contempo, sull'orlo del baratro. Mi domando come sia possibile.
Genetica, esperienza vissuta, ambiente? Che importa. Quello che conta, ora, è che so cosa rischio e non ho nessuna intenzione di restare a guardarMi. Il posto in cui mi trovo ora non è il punto d'arrivo, rischia al contrario di trasformarsi nel punto di non ritorno. Adesso sta a me trovare il filo e portarmi fuori dal labirinto.
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Soundtrack: Trembling Hands - The Temper Trap*
Treading the ground
I once used to know
People are strangers
The same as before
The streets look familiar
I remember the park
Where I buried my head
So deep in my hands
All around me was dark
This here city
Is for the lonely ones
You won't find no angels
Selling maps to the lost...*
Toco tu boca, con un dedo toco el borde de tu boca, voy dibujándola como si saliera de mi mano, como si por primera vez tu boca se entreabriera, y me basta cerrar los ojos para deshacerlo todo y recomenzar, hago nacer cada vez la boca que deseo, la boca que mi mano elige y te dibuja en la cara, una boca elegida entre todas, con soberana libertad elegida por mí para dibujarla con mi mano en tu cara, y que por un azar que no busco comprender coincide exactamente con tu boca que sonríe por debajo de la que mi mano te dibuja. Me miras, de cerca me miras, cada vez más de cerca y entonces jugamos al cíclope, nos miramos cada vez más de cerca y los ojos se agrandan, se acercan entre sí, se superponen y los cíclopes se miran, respirando confundidos, las bocas se encuentran y luchan tibiamente, mordiéndose con los labios, apoyando apenas la lengua en los dientes, jugando en sus recintos donde un aire pesado va y viene con perfume viejo y un silencio. Entonces mis manos buscan hundirse en tu pelo, acariciar lentamente la profundidad de tu pelo mientras nos besamos como si tuviéramos la boca llena de flores o de peces, de movimientos vivos, de fragancia oscura. Y si nos mordemos el dolor es dulce, y si nos ahogamos en un breve y terrible absorber simultáneo de aliento, esa instantánea muerte es bella. Y hay una sola saliva y un solo sabor a fruta madura, y yo te siento temblar contra mí como una luna en el agua. (J. Cortazar)
The Power Of Introverts In A World That Can't Stop Talking.
E' il sottotitolo del libro che dà il titolo al post e che mi ha folgorato in volo, sulla via di Damasco. Una rivelazione. Per 31 anni mi sono sentita ripetere - dai professori a scuola, dai colleghi di lavori vari, dalla televisione, dai corsi universitari - che introverso è sinonimo di perdente, di sfigato, che si può essere bravi quanto si vuole ma se non ci si sa vendere in pubblico si è spacciati. Che l'introversione, insomma, è una tara, una macchia, qualcosa di cui vergognarsi, che può condannarci all'emarginazione, all'isolamento.
E invece no! Susan Cain in questo libro di recente pubblicazione in UK manda al diavolo un secolo - il ventesimo - di manipolazioni culturali occidentali di stampo statunitense e rimarca che estroversione ed introversione sono entrambe utili alla società e spesso proprio le persone più introverse e riflessive sono state alla base di grandi rivoluzioni nella storia umana. Un caso tra tutti? La piccola e minuta Rosa Parks. Proprio lei, che rifiutò di alzarsi dal sedile riservato ai bianchi all'interno di quell'autobus che diede il là alla rivoluzione afroamericana che fu poi condotta dal più famoso Martin Luther King, che proprio con Rosa si complimentò per il suo coraggio, tanto più potente proprio perché nato da una risoluta pacatezza.
Sto procedendo lentamente alla lettura del libro, comprato a Heathrow dopo averne letto una recensione su una di quelle anonime riviste di bordo della compagnia aerea con la quale viaggiavo. Mi ero ripromessa: se quando arrivo lo trovo al volo sullo scaffale della libreria dell'aeroporto lo compro! E così è stato. La sua copertina bianca e quella parola, QUIET, stampata all'interno di una nuvola da fumetto mi hanno conquistata al primo sguardo. E' stato come, di colpo, essere liberati da una maledizione. Quella di un silenzio vissuto da sempre, quando c'è, come una colpa, un qualcosa di cui vergognarsi, in un mondo in cui se non dici, se non interagisci vieni visto come un idiota, qualcuno che non ha idee. Mentre dentro magari hai un mondo che ribolle, ma richiede più tempo per arrivare a maturazione, molto più del tempo di un veloce botta e risposta, spesso sgomitando tra altre voci che non sempre dicono la cosa più intelligente, solo sono molto più abili nell'esternarla e farsi largo nel coro.
Nei giorni seguenti, nel corso dello stesso viaggio, una persona, un tempo molto più insicura e inibita di adesso, mi ha detto, quasi rimproverandomi (come forse, ho pensato, qualcun altro a suo tempo aveva fatto con lui):"Ogni volta che tu non esprimi quello che senti e che pensi anche gli altri perdono qualcosa!". E credetemi, quando guerre intestine e autodafè tentano di ripartire alla carica spingendomi alla rinuncia in questa eterna lotta per uscire dal guscio, quelle parole mi tornano in mente come una carezza, da pari a pari. Come una mano, tesa nel vuoto a ricordarmi che vale sempre la pena di uscire là fuori e rischiare, anche di sembrare ridicoli, perché ogni volta che ci censuriamo per paura - il più delle volte di vedere riflessi nelle reazioni degli altri i nostri stessi giudizi sulla nostra persona - una parte di noi viene lasciata morire lentamente in fondo a un baule polveroso.
Io non lo so come si fa a fare amicizia in un posto nuovo, da adulti. O meglio: razionalmente sì, lo so benissimo. E' la pratica che mi frega! E non provo imbarazzo - non più - ad ammetterlo. So di non essere l'unica, so molto bene però che dirlo equivale a correre il rischio di essere stigmatizzati come "handicappati sociali". Me ne frego. Non c'è niente di male a dire, una volta per tutte, che questo nostro mondo occidental-decadente votato al sucCesso non è fatto per gli introversi e che la maggior parte di loro ha imparato a non sembrarlo, facendo uno sforzo immane. Che un introverso difficilmente riuscirà a fare amicizia entrando semplicemente in un bar o attaccando bottone col primo che capita. Che all'introverso occorrono più tempo e soprattutto occasioni concrete per incontrare persone, in un contesto che non sia mordi e fuggi ma rilassante e stimolante.
Sono dell'idea che fare cose insieme sia il mezzo più efficace per permettere anche a chi si apre lentamente di conoscere e farsi conoscere.
Se poi qualche volenteroso estroverso volesse far da apripista come auspicava il buon Bugo nella nota canzone tormentone di qualche tempo fa, è il benvenuto. Sempre meglio che attaccarsi un cartello addosso con su scritto:
"Hi! I'm new, here. I'm looking for friends :)".
"Introversion – along with its cousins sensitivity, seriousness,
and shyness – is now a second-class personality trait, somewhere between
a disappointment and a pathology. Introverts living under the Extrovert
Ideal are like women in a man's world, discounted because of a trait
that goes to the core of who they are. Extroversion is an enormously
appealing personality style, but we've turned it into an oppressive
standard to which most of us feel we must conform. We like to think that we value individuality, but all
too often we admire one type of individual – the kind who is comfortable
"putting himself out there". But we make a grave mistake to embrace the Extrovert Ideal so
unthinkingly. Some of our greatest ideas, art, and inventions – from
the theory of evolution to Van Gogh's sunflowers to the personal
computer – came from quiet and cerebral people who knew how to tune in
to their inner worlds and the treasures to be found there."
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Oggi sono arrivata ad una conclusione quanto mai rilevante (eeeeeh, vabbè! Mo' nun s'allargàmo!). Che c'è modo e modo di essere sfigati o losers (per dirla all'inglese, che tanto ce piace!). Si può essere sfigati inside&outside, ma diventare talmente abili negli anni a fare di questa condizione un vanto, da trasformarlo in un vestito che sembra esserci stato cucito perfettamente addosso. Sono gli sfigati glam, capaci di costruirsi attorno una patina sfavillante di sfigaggine così cool che finiscono per ritrovarsi uno stuolo inimmaginabile di fan e sostenitori alle calcagna, nel virtuale così come nel reale. Ma propenderei per la netta supremazia del primo sul secondo.
Lo sfigato glam è un ossimoro vivente, un uomo (o una donna) che cammina perfettamente in bilico (o, per lo meno, è abilissimo a farcelo credere) sulla propria nerditudine, sulla propria indesiderabilità sociale, il che lo rende - e qui sta il paradosso! - tutto d'un tratto ultra seguito (il più delle volte da altri sfigati che in lui vedono l'agognato riscatto) ed elevato a guru del mantra: "sfigati si può e si deve, ma con stile!". Il fatto di avere così tanti followers o likers, che dir si voglia, dovrebbe in teoria far perdere allo sfigato in questione il suo titolo, ma questo in effetti non accade. Potere della comunicazione e dell'effetto imitazione.
E tutti gli altri? Gli sfigati anonimi? Quelli che ancora non riescono a farsi una ragione della propria diversità e anzi bramano da tempo immemore di potersi disfare finalmente di quel costante senso di inadeguatezza, che nei casi più gravi sfocia addirittura nella fobia sociale e conduce all'isolamento in cui spesso si sentono confinati dai propri stessi limiti? Se la pìjano in der secchio. Che tradotto significa che li vedrete (?) macerare in silenzio, domandandosi comeminchia sia possibile che il primo che spara una cazzata ma lo fa straconvinto sia sempre il più applaudito e ricercato, mentre a loro, tapini, non se li fila mai nessuno. Finiranno poi, stanchi di non esser mai ascoltati, per tacere del tutto. Tanto, in fondo, chi se ne accorgerebbe?
McLuhan una volta ha detto: "il medium è il messaggio".
Me sa' tanto che c'aveva ragione!
Caro Beck, che sei nelle mie casse... pensaci tu!
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Scoprire che in fondo siamo sempre stati quello che siamo.
Sempre in divenire.
Andare. Tornare. Partire.
Sognare.
Durante il mio ennesimo ritorno nel luogo in cui sono cresciuta, in questo trasloco infinitesimale che da un anno a questa parte mi vede scomporre e ricomporre il puzzle della mia caotica esistenza, va via via ridisegnandosi la Me che avevo perduto, l'origine di tutto. Scopro con stupore - chissà perché lo avevo rimosso! - che scrivevo già allora. Poesiole adolescenziali, niente di speciale, una l'avevo pure tradotta in inglese. Non mi ha stupito tanto il fatto di averla scritta, quanto che l'avessi completamente dimenticato. Credevo fosse stata una necessità più recente, dettata da un bisogno di trascendenza che - a posteriori - ho scoperto essermi servita per la sopravvivenza. Ed eccoli là, quei primi passi incerti, con una calligrafia molto più misurata, equilibrata di quella di oggi, per la quale al tempo avevo ricevuto persino dei complimenti. Mai avrebbero potuto immaginare cosa vi si nascondesse dietro...
Ed ecco, poi, dal fondo del cassetto saltar fuori una specie di diario e dentro alcune pagine di quaderno datate "maggio 1999". Sono i miei pensieri annotati poco prima della fine del liceo e l'inizio degli esami di maturità. In quelle righe scopro la ragione del mio inseguire, molti anni più tardi, idealizzate chimere di sogni sfuggenti, nell'irrazionale pulsione - che quel vecchio scritto chiarisce inequivocabilmente - di colmare le lacune di un'adolescenza non vissuta appieno. Incredibile come allora apparissi convinta di averla scampata, di essere sopravvissuta definitivamente all'uragano, come se questo non potesse più tornare. Ancora oggi, che mancano pochi mesi al compimento dei miei 32 anni, ritrovo in quelle parole l'ardore e la fierezza di aver vinto una battaglia invisibile ai più e il senso della volontà di vivere che mi scorreva nelle vene e che mi aveva permesso di sopravvivere a tutto. Non sono più quell'essere goffo e mal vestito della foto di classe dell'ultimo anno, anche questa sbucata fuori dal medesimo cassetto. Che orrore rivedermi! Fortuna che ci ha pensato quel "Detenuti di un manicomio criminale nell'ora d'aria" scritto a guisa di didascalia a farmi ridere di gusto e dimenticare quanto non mi piacessi in quello scatto.
Ah, se potessi tornare indiet... Ma neanche morta! Mi piaccio così, come sono oggi! E anche se c'è ancora tanto da migliorare, cambiare, plasmare, il nucleo è sempre quello! Sento che sono in cammino, che forse, dopo tanto penare, il quadro si sta facendo sempre più chiaro nella mia testa. Ora so quali sono i miei limiti, ormai so riconoscere quella fastidiosa morsa allo stomaco che in determinate circostanze mi lascia senza fiato. E' in quel preciso momento che un "dèmone" - mi è sempre piaciuta questa metafora! - mi sta sfidando. Colpo su colpo affronto quei fastidiosi automatismi che tentano di farmi restare incagliata, che impediscono il mio fluire.
Mi sto liberando. Sono felice di me stessa, dopo tanto darmi addosso. Ora che so perché sono così, so anche come posso buttare giù questa gabbia. Ogni giorno che passa se ne va un sottile strato che non voglio più. Ed è bellissimo ricominciare a respirare...
Ritrovamenti dal passato
Notte di luna piena
La ragione di tutto.
Una canzone apre le porte a un romanzo.
Due vite a una svolta.
Abbiamo finalmente imboccato la Strada?
Tu sogna, sogna forte!
Io farò sempre il tifo per te.
YUKI, AKA PRISMA Permissions beyond the scope of this license may be available here.
Adoro quando un film mi 'chiama' attraverso pochi fotogrammi che mi risucchiano immediatamente dentro una storia. Anche ieri è stato così. E non so se è perché da qualche mese anch'io ho un essere peloso che mi fa compagnia, o se è perché ho una naturale predilezione per i racconti di formazione o entrambe le cose, ma quel ragazzo smilzo e un po' impacciato che si accinge a condurre un cane fuori dalla gabbia di un canile per andare alla ricerca della sua padrona mi conquista all'istante.
Come un giallo, il racconto, tra una corsa e una fuga, un incontro e un flashback, mi conduce tra le strade di una Gerusalemme che non mi aspettavo e fino alla fine mi tiene col fiato sospeso, appesa ai miei "chi è davvero e da che cosa fugge Tamar?", che sono gli stessi interrogativi che spingono Assaf a non arrendersi, nonostante le botte prese dai poliziotti prima e da loschi figuri poi. E' lo stesso fascino del mistero a rapire protagonista e spettatori fino all'epilogo finale, veramente ben costruito e per nulla scontato, almeno per me.
A tratti questa storia mi ha ricordato le atmosfere dei Gatti Persiani, dove la musica, come in Qualcuno Con Cui Correre, è legata a filo doppio con il senso del pericolo, concreto e non soltanto come minaccia che incombe, e le peripezie di August Rush e dell'orribile 'manager del talento' che sfrutta ragazzini di strada a beneficio delle sue tasche. Per non parlare del duetto chitarristico che a metà film mi ha riportato alla mente il portentoso connubio artistico tra Rodrigo e Gabriela. Non conoscevo il romanzo di David Grossman da cui il film è stato tratto, ma ricordavo l'autore per la sua partecipazione alla trasmissione di Fazio dedicata a Saviano, qualche anno fa.
Che dire, sono rimasta piacevolmente colpita dalla storia, seppur nella sua trasposizione cinematografica, e sono nuovamente grata alla 'lanterna magica' per avermi permesso ancora una volta di viaggiare in una cultura così lontana dalla mia, in cui però ho potuto ritrovare tanto di me. Dal cane all'amore per la musica e, sì, anche per i ragazzi introversi ma decisi, pronti a sfidare qualunque difficoltà pur di restarti accanto. E non è un caso se tra meno di tre settimane io stia per sposarne uno. Ma diciamolo sottovoce, ché - si sa - a noi un po' introversi e un po' riservati, piace così.
YUKI, AKA PRISMA
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...è perché coltiva, nel fondo, l'illusione che non ci sia bisogno di spiegare.
Per tutte le volte che ho tenuto dentro la mia rabbia ed ho perso l'attimo
Per tutte le volte che qualcuno mi ha ferito e sono stata zitta, per non creare problemi o dispiaceri
Per tutte le volte che mi sono lamentata troppo per piccoli intoppi e poco per grandi problemi
Per tutte le volte che sono stata felice e non l'ho detto, perché quei fugaci momenti non mi fossero 'portati via'
Per tutte le volte che mi sono sentita Sola e responsabile, IO, della mia Solitudine
Per tutte le volte che ho tenuto nella mia vita persone che non avrei più voluto e respinto chi avrei invece voluto accanto, ma non lo è stato (perché non ho saputo/voluto chiederlo?)
Per tutte le volte che ho giustificato le assenze altrui per attenuare le mie
Per tutte le volte che sono stata Genitore senza volerlo
Per tutte le volte che sono stata Figlia, e ho trovato conforto
Per tutte le volte che ho Sognato e ho dovuto riaprire gli occhi
Per tutte le volte che scrivendo ho provato piacere, sollievo, speranza
Per tutte le volte che non ho più voluto scrivere, leggere, uscire, parlare, sognare
Per tutte le me che ogni tanto muoiono un po', perché le lascio morire.
Ieri notte in televisione ho captato per caso uno stralcio degli spettacoli di Carmelo Bene. Era stata una giornata No, molto pesante. Fatta di piccole cose che per gli altri sono niente, per me sono l'inferno. E mi sono nate dal cuore queste parole:
Vomitevole tremore! Infausto è l'odio che mi sale dalle viscere.
Le imprimo qui, a mia futura memoria. Per ricordarmi che per 'guarire' devo prima liberarmi. Permettere all'odio e alla rabbia di trasformarsi, purificarsi, e prendere la propria strada.
Qualcuno ha la pioggia dentro. Io, sono nata sola.
YUKI, AKA PRISMA Permissions beyond the scope of this license may be available here. Soundtrack: The Hole In Me - Blackfield
Non posso credere di averlo trovato! Innamorarsi a prima vista di due volti, di una scena, di un'atmosfera, di un dialogo... dell'irresistibile alchimia tra due personaggi. Dannarsi per giorni per ritrovare l'intero da cui il frammento era tratto e scoprire un capolavoro.
Non vedo l'ora di vederlo, ma già so che sarà l'inizio della scoperta di qualcosa di straordinario. Quando il Caos e il Caso partoriscono Poesia! Quella di cui avevo bisogno.
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SOUNDTRACK: Eleni Karaindrou - Adagio (Musica dal film "Paesaggio Nella Nebbia" di Theo Angelopoulos)
...a volte è proprio dal Silenzio che scaturiscono, improvvise, le Risposte più preziose. Basta saper aspettare.
Ieri ho visto Momo. Avevo comprato il dvd quasi per caso a prezzo stracciato in uno di quei cestoni da ipermercato tantissimo tempo fa. Era l'inizio di ottobre 2010, qualche giorno prima che mio padre morisse. Avevo preso quel dvd incuriosita dalla trama, ricordando di aver letto in qualche blog un accenno alla storia e al personaggio. Non sapevo esistesse anche un film con attori in carne e ossa, oltre al cartone animato che non ho ancora visto.
Ieri pomeriggio, dopo una piacevole passeggiata nella neve, qui, nella mia nuova hometown tutta imbiancata, mi sono decisa. Ho aperto l'involucro di cellophane e infilato il dvd nell'apposito lettore, sentendomi ironicamente, in tempi di blue ray e 3D casalinghi, quasi una nostalgica dei vecchi media. Non avevo idea di quando fosse uscita per la prima volta nelle sale questa pellicola, ma non per disattenzione. Alla fine del film ho cercato una qualche indicazione sulla copertina del dvd, ma niente. Nessun accenno.
Ci pensa internet a darmi le informazioni che cerco. L'uscita data 1986, coproduzione italo-tedesca, starring, tra gli altri, Ninetto Davoli. Musiche di Angelo Branduardi. E, nei titoli di coda, tanti i nomi delle maestranze che un tempo davano lustro al nostro cinema con effetti speciali artigianali, quando il computer era ancora ai suoi albori - almeno da noi. Peccato che al dvd manchino i contenuti extra, mi sarebbe piaciuto tantissimo conoscere i dettagli tecnici della realizzazione dell'opera.
Mi sono trovata dapprima spiazzata, poi incuriosita, infine affascinata da questa piccola perla dimenticata. A tratti infantile e ingenuo, a tratti favolosamente visionario e surreale per la commistione tra immagini, musica ed effetti sonori, questo film mi ha colpito e non soltanto per la storia in sé. Ancora una volta alcune parole si sono staccate dal loro contesto per risuonare in me come un mònito*, esattamente nel momento in cui ne avevo più bisogno.
Oggi ho pensato di nuovo al Tempo e al Silenzio. E a come i pezzetti del puzzle continuino a combinarsi insieme seguendo una logica invisibile. Il Silenzio è l'alleato prezioso di Momo. E' proprio quando la bambina non parla che tutti si rivolgono a lei in cerca di un consiglio, di comprensione, di aiuto. I suoi occhi parlano per lei, la sua sola presenza riporta armonia e gioia di vivere nella comunità che l'accoglie, povera e vestita di stracci, come una sorella e un'Amica preziosa.
Non sarà per sempre. La corsa contro il Tempo, i ritmi disumanizzanti del mondo moderno, la lasceranno indietro. Con l'aiuto della tartaruga Cassiopea e del maestro Hora, Momo dovrà affrontare gli uomini in grigio per riportare la comunità ai ritmi di una volta, quando trascorrere il tempo con gli amici era un piacere quotidiano e non si viveva soltanto per lavorare.
Se avrete la voglia e la curiosità di avventurarvi, riconoscerete nel personaggio creato da Michael Ende la rappresentazione simbolica di un Tempo che fu, quando la vita scorreva meno frenetica e le ore a nostra disposizione non erano ancora avidamente contese dalle banche degli uomini in grigio, che per strapparle a noi umani hanno instillato in noi la paura della morte e tanti inutili bisogni fallaci per contrastarla. Efficacissima la scena delle bambole-robot lanciate da uno di loro a Momo nel mezzo dell'anfiteatro vuoto allo scopo di farle dimenticare gli amici che non hanno più tempo per lei.
Su YouTube ho trovato soltanto pubblicazioni in inglese e tedesco. Segno del maggiore successo evidentemente riscosso dal film all'estero, più che da noi. Lascio qui i link, per chi avesse voglia di vederlo. La versione in tedesco è integrale, quella in inglese è divisa in parti. Per quella in italiano dovrete provvedere voi! :)
In tedesco:
In inglese:
E questa è la scena che più mi ha colpito*, con le preziose parole pronunciate da Beppo lo spazzino tradotte da Fabio, che ringrazio tantissimo!
"A volte abbiamo una lunga strada davanti e pensiamo che è così lunga che forse non ce la faremo mai a percorrerla fino in fondo. Allora ci sbrighiamo, andiamo sempre più veloci, ma voltandoci poi ci rendiamo conto che la strada da fare è ancora lunga, proprio come prima (...). Non devi mai pensare alla strada tutta per intero, capisci? Pensala tratto per tratto, un respiro, poi un passo, e poi il successivo, e così via. Questo ti rende felice! Questo è importante, hai fatto un buon lavoro. Ed improvvisamente ti rendi conto di averla percorsa tutta quella strada, senza rendertene conto, e questo è importante!"
YUKI, AKA PRISMA Permissions beyond the scope of this license may be available here. Sountrack: Cesária Évora - Tiempo y Silencio
Chi mi segue da un po' saprà quanto stimi e apprezzi Riccardo Iacona, come Giornalista e come Persona, uno di quei connazionali con la C maiuscola, di cui vado estremamente fiera. Con il suo Presa Diretta ha messo insieme una squadra di valenti reporter che di settimana in settimana ci mostrano l'Italia che certo giornalismo 'penna rossa, penna gialla, per gli amici solamente penna a sfera' non sembra interessato a mostrare.
E' grazie a un programma come questo che riscopro il giornalismo come cane da guardia della politica. In ogni puntata lo spettatore viene informato del reale stato delle cose con il piglio accorato e puntuale di chi ama il paese in cui vive e soffre profondamente nel vederne giorno dopo giorno lo sfacelo. Potremmo anche riconoscervi una certa serialità, soprattutto quando uno speciale sulla 'Ndrangheta e le sue mani sulla città si ricollega a un altro dedicato al dissesto idrogeologico del paese, mostrandoci concretamente con quanta prorompente e subdola pericolosità la malavita sia entrata a far parte del tessuto socio-politico anche delle regioni del nord, tanto da essere collegata alle alluvioni nelle Cinque Terre, oggetto della puntata andata in onda domenica sera su Rai Tre.
Mi piace Iacona perché pungola la politica, bacchettandola a suon di fatti, dati, prove empiriche, esempi virtuosi, dando pari peso alla vox populi e alle testimonianze e alle ricerche di esperti spesso ignorati - quando non messi a tacere - da coloro che gestiscono la cosa pubblica, che oramai è sempre più 'cosa loro'.
Le puntate di Presa Diretta sono tutte disponibili sulsito della trasmissione. Vi consiglio in particolare l'ultima trasmessa, "Terra Violata". Guardandola ho pensato per l'ennesima volta Povera Terra Mia...
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In questo toccante spettacolo-documentario Paolini porta alla luce una storia che in pochi conoscono, quando la Germania sfruttò i principi dell'eugenetica per tagliare i costi in tempi di crisi economica. Le idee di cui si nutrì il nazismo e che culminarono nella soluzione finale non erano venute dal nulla, ma affondavano le radici in quella scienza dell'evoluzione della specie nata e cresciuta durante la Belle Epoque. Quelle idee erano già applicate negli Stati Uniti, che selezionavano gli immigrati scartando coloro che venivano ritenuti inferiori e/o improduttivi. La sterilizzazione su basi scientifiche eugenetiche era già praticata in paesi come la Svezia, la Norvegia e il Giappone su coloro che erano classificati come portatori di tare genetiche ereditarie.
Negli anni '30 in Germania un dipartimento speciale iniziò ad occuparsi delle "vite indegne di essere vissute": disabili, menomati, malati mentali, fra questi anche molti bambini. Cittadini tedeschi, sui quali furono compiute quelle che oggi potremmo definire le prime prove tecniche di sterminio. Condotti in apposite strutture - spesso ex ospedali psichiatrici - tutti coloro che finivano nelle liste del programma K4 venivano eliminati con le prime camere a gas camuffate da docce e poi bruciati nei forni crematori. In una delle foto che Paolini ci mostra vediamo il fumo nero salire alto nel cielo dalla cima di una collina su cui sorgeva una di queste strutture. Non era Auschwitz, ma un paesino della Germania, e a bruciare non erano ebrei, ma cittadini tedeschi che non raggiungevano i requisiti necessari per poter continuare a 'pesare sul bilancio' dello stato.
"Ausmerzen": fateVi un favore. Guardatelo. Domani sarà ritrasmesso alle 21:30 in replica su La7. Per chi non potesse, incorporato nel post trovate il video integrale pubblicato su YouTube.
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Ieri, per la prima volta, mi sono accostata al cinema di Bergman. A chiamarmi a battesimo è stato Monica E Il Desiderio. Associo da sempre, quasi automaticamente, il regista svedese a tematiche profonde, anche un po' ostiche, perciò mi hanno colpito da subito, di questo film, la naturalezza dei dialoghi e l'apparente 'semplicità' del mostrare due persone ordinarie in pausa dal loro lavoro, fatto che mi ha riportato alla mente il nostro neorealismo e quanto mi piacerebbe che si tornasse anche noi a parlare in modo dignitoso della vita vera, senza tutta quella retorica e palese finzione che permea molto del nostro cinema più recente.
I due protagonisti, Monika e Harry, ci vengono subito presentati nei loro tratti caratteriali più salienti. Spregiudicata la prima, dolcemente ingenuo il secondo. Già in questa prima scena che li vede insieme, al loro primo - casuale? - incontro è inscritto il loro destino. O almeno, d'istinto, è questo che vi ho letto. Monika proietta da subito il suo desiderio di fuggire da una realtà che le sta stretta sullo 'sconosciuto' Harry: "Io andrei lontana, via, e non tornare più! Vagare per il mondo senza meta... Ti piacerebbe?", pronunciata quasi per gioco al bar, prima di riprendere il lavoro. Qui ha inizio il progressivo avvicinamento tra i due, movimento di cui - ai miei occhi - è sin dal primo momento la giovane donna ad avere in mano il timone. Mi verrebbe da dire che è in questo istante che Monika inizia a tessere la sua tela.
Da un invito al cinema inizia la storia d'amore tra i due, che culmina con la fuga di Monika da casa dei genitori e il viaggio della coppia a bordo della barca a motore del padre di Harry, dopo che entrambi hanno lasciato famiglia e lavoro per inseguire il sogno di una vita libera, lontano da tutto e tutti. Il bianco e nero paradossalmente diventa prismatico nel percorso che ci accompagna da Stoccolma a un'isola nei suoi dintorni, fatta di scogliere e natura selvaggia. Mi sono sorpresa di quanto fossero più ricche le immagini proprio per l'assenza del colore, che riuscivo invece a intuire facilmente attraverso i chiaroscuri.
Nel vedere i due giovani cucinarsi da mangiare e lavarsi all'aria aperta, con mezzi di fortuna, mi sono ricordata per un attimo di Into The Wild, della fuga anche in quel caso dalla società e dalle sue imposizioni, culminata poi drammaticamente. Brevemente, per uno strano processo di associazione, ho rivisto nella mia mente anche qualche fotogramma di Auroradi Murnau, e un percorso di coppia inverso, questa volta dalla campagna alla città e poi ritorno, con un doppio finale (quello tragico, soltanto sfiorato - forse il più vero - e quello effettivo, decisamente più hollywoodiano - probabilmente imposto).
Sull'isola l'amore tra Monika ed Harry è dapprima tenerezza e sensualità, gioco e spensieratezza, illusione di eternità che in sé già racchiude l'inevitabile fine. Poi, prosaico declino. Quando il diciannovenne afferma ad alta voce, tenendo l'amata tra le braccia, la certezza che tutto andrà bene e che i due rimarranno insieme per sempre, i suoi occhi ancora non riescono a vedere la caducità di una promessa nata per essere infranta.
Ben presto i problemi inizieranno a farsi sentire, la morsa della fame spingerà Monika, incinta, a procurarsi da mangiare rubando, fin quasi a rischiare l'arresto. La scena in cui, fuggita dalla casa dei derubati, la giovane nascosta nella boscaglia addenta l'arrosto di cui si era impadronita mi è parsa l'apice cinematografico della natura irrispettosamente selvaggia della ragazza. Non sono riuscita mai a percepire del vero amore in lei, ma solo fame cieca e ho provato un istintivo fastidio verso i suoi modi, verso il suo continuo approfittare della bontà di Harry, complice, dal canto suo, nella sua iniziale ingenuità, di un disegno poco pulito fin dall'inizio. Si potrebbe forse obiettare che la giovane sia stata anche lei spinta da un innocente desiderio di trovare l'amore ed una nuova vita - in fondo la sua commozione al cinema davanti a un amore impossibile sembra sincera - ma non posso non pensare alla sua malizia e al suo aver pilotato gli eventi per i suoi interessi. Non è forse un caso che, poco prima di mostrarci Monika risalire a bordo del motoscafo, Bergman indugi su una ragnatela e il suo abile tessitore.
Ho ripensato alle due scene ambientate a casa dei genitori di Monika e allo stridente contrasto tra sua madre, alle prese con i fratellini scalmanati, le faccende casalinghe e il padre amante dell'alcol, e la giovane, totalmente immersa nei suoi bisogni e interessi che, senza mai muovere un dito per aiutare in casa, sbotta in un modo che ho trovato esagerato e chiaro ed efficace indicatore della sua natura egoista, capricciosa e infantile. Così Monika ci appare, infatti, al ritorno in città, dopo il matrimonio e il parto. Da subito è Harry a pensare a tutto. Lavora, studia e bada alla neonata, di cui la moglie non sembra avere alcuna intenzione di occuparsi, nemmeno quando il marito è assente. La protagonista, irritabile e annoiata, lascerà che sia la zia di Harry a pensare alla bambina e alla casa e finirà per tradire il compagno andando a letto con una vecchia fiamma. Non contenta, spenderà i soldi che lui le aveva lasciato per pagare l'affitto per comprarsi un vestito. Queste le gocce che faranno traboccare il vaso e risveglieranno finalmente Harry da un sogno finito da tempo.
C'è un'inquadratura della protagonista, poco prima della conclusione della pellicola, che ne incarna la natura vampiresca, da mangiatrice di uomini. E non si può dire che non ne fossimo stati avvisati. Fin dall'inizio più e più volte, nelle interazioni con i colleghi maschi, con una vecchia fiamma, nel suo stesso modo di esprimersi ("mi si gela il sottoschiena", che in questa forma edulcorata è probabilmente frutto dei traduttori nostrani dell'epoca) e di atteggiarsi davanti allo specchio, Bergman ci ha mostrato chi è Monika. Una donna che pre(te)nde tutto e subito. Capace di amare soltanto il riflesso di se stessa, di dare ordini. Ricorrente quel suo "komm!", "vieni!", pronunciato a più riprese per portare il malcapitato di turno a fare quel che lei desidera. E' questo il ritratto di donna che il regista ci restituisce ed è un'immagine potentissima, universale, oserei dire anche un po' misogina, alla fine di tutto. Ma non è così. C'è l'inganno di un amore, che in realtà amore non era fin dall'inizio, ma che dell'amore aveva assunto le sembianze. Ci sono lo struggimento, i sorrisi, il contatto - questo sì - reale tra due corpi, che dura giusto il tempo di un'estate. E oggi, infatti, cercando qualche dato in rete, scopro che il titolo originale rende giustizia a tutto questo, Un'Estate Con Monika, laddove invece la sua traduzione italiana, Monica E Il Desiderio, mi aveva lasciato piuttosto perplessa.
Se il personaggio di Monika e la storia raccontata possono sembrarci qualcosa di scontato forse oggi che l'emancipazione femminile e la libertà dei costumi sono una realtà, non dovevano esserlo affatto nel 1952, anno in cui il film ha visto la luce. Il vero protagonista, se per tale s'intende colui che nell'arco del racconto affronta un cambiamento, è senz'altro Harry, che, anche grazie all'incontro con la donna, finisce per rivoluzionare completamente la sua vita. Se prima era un semplice garzone, ora è un uomo capace, apprezzato nel lavoro, capace di ambizione e voglia di migliorarsi. Se prima era l'unico figlio di un padre silenzioso, provato dalla precoce morte della moglie, lo ritroviamo padre single, in carriera. Nell'ultima sequenza, la bambina tra le braccia, i suoi ricordi dei momenti felici insieme alla madre di sua figlia non mi sono sembrati rimpianti, né rimorsi. Vi ho letto, nonostante tutto, la gioia quasi incredula per ciò che è stato, e il coraggio e la voglia di costruire un nuovo domani. Per sé e per il frutto prezioso di una stagione ormai finita.
Devo ammettere che il film al primo impatto mi ha irritato, e forse è questa la sua forza. Deve aver toccato un nervo scoperto, il mio fastidio per un certo tipo di donna e, soprattutto, per il fascino che dalla notte dei tempi questo continua a suscitare negli uomini. E' l'universale consapevolezza della crudeltà di un crying game a cui è così difficile resistere. In questo Bergman è stato poeticamente impietoso ed efficace. E lo specchio che nel film pone all'inizio e alla fine davanti ai suoi personaggi, lo ha piazzato in realtà davanti a tutti noi.
YUKI, AKA PRISMA Permissions beyond the scope of this license may be available here. SOUNDTRACK: Emeli Sandé - Heaven
La bellezza del tuo sguardo. La parte per il Tutto. Ci penso spesso. Starei ore a guardarti, di nascosto. Com'è possibile? Che cosa significa? Prigioniera di un'immagine magnetica. Spettatrice non invitata di uno spettacolo inconsapevole di esserlo. O forse sì.
Se fossi una pittrice fisserei quegli occhi per sempre. Ma non lo sono, e allora ne scrivo. Timida resistenza allo scorrere impietoso del giorno che mi obbliga a non pensarci, a essere 'grande', responsabile. A produrre, ad adempiere.
In nome di chi? In nome di cosa?
Tempo. Soltanto tempo che passa e basta. Qualcuno ha detto che il tempo non esiste.
YUKI, AKA PRISMA Permissions beyond the scope of this license may be available here. SOUNDTRACK: Lou Reed - Pale Blue Eyes
Quando troppo presto assapori l'impotenza, la visione che avrai del mondo tenderà molto spesso ad assumere tinte fosche, il pessimismo e la conseguente tendenza alla depressione saranno le tue spine nel fianco. L'amico Martin - Seligman, N.d.M.M.S. (Nota di Me Medesima Sottoscritta) - dice invece che ottimisti non si nasce, si diventa. Lo si diventa apprendendo modelli cognitivi con cui interpretare la realtà.
Onestamente ne ho piene le scatole di sentirmi sempre demotivata, scarica, in balia degli eventi. E' vero, per lunghi periodi, nell'arco dei miei 31 anni lo sono stata davvero. Mi sono piombati tra capo e collo eventi di elevata gravità su cui non avevo alcun controllo né possibilità di intervento. Questo deve avermi plasmato, ed è per questo che ancora oggi ogni ostacolo mi sembra il reiterarsi di quelle catastrofi, di quei bastoni tra le mie ruote, nei momenti cruciali della mia esistenza. E ho anche la fortuna di avere accanto qualcuno che riesce, quando c'è, a ricondurmi sulla retta via, quando la smarrisco e inizio a lasciarmi trascinare dallo sconforto e da visioni da fine del mondo in salsa autobiografica.
Ora basta. Basta davvero. E non a questo povero blog, che non è niente più che una delle mie innumerevoli grafomani estensioni. Basta a questo modo di essere, di vedere la vita. E che cazzo, me lo devo! Altrimenti tutto ciò che è stato fatto fin qui sarebbe vano. E non renderebbe felice qualcuno che di sicuro, da qualche parte nel cosmo, sta attraversando gli eoni e scuote la testa sconfortato davanti al mio quotidiano lasciarmi andare.
Perché in fondo, anch'io, sono di quelli che "per far pace col proprio cervello, gli dichiara guerra ogni volta", per citare parole d'altri che, incontrate per caso, mi sono restate dentro e si riaffacciano ora per ricordarmi la strada che ho fatto e quella che m'aspetta.
Non so come, ma da quel bizzarro hard disk scalcagnato che è il mio cervello stamattina è uscito fuori questo pezzo dei Byrds. Se c'è una colonna sonora per l'ottimismo, è questa! Quanto cazzo pò esse' bella!!!
YUKI, AKA PRISMA Permissions beyond the scope of this license may be available here. Soundtrack: The Byrds - Turn Turn Turn (To Everything There Is A Season)
To everything - turn, turn, turn There is a season - turn, turn, turn And a time for every purpose under heaven
A time to be born, a time to die A time to plant, a time to reap A time to kill, a time to heal A time to laugh, a time to weep
To everything - turn, turn, turn There is a season - turn, turn, turn And a time for every purpose under heaven
A time to build up, a time to break down A time to dance, a time to mourn A time to cast away stones A time to gather stones together
To everything - turn, turn, turn There is a season - turn, turn, turn And a time for every purpose under heaven
A time of war, a time of peace A time of love, a time of hate A time you may embrace A time to refrain from embracing
To everything - turn, turn, turn There is a season - turn, turn, turn And a time for every purpose under heaven
A time to gain, a time to lose A time to rend, a time to sew A time to love, a time to hate A time of peace, I swear it's not too late!
Forse questo blog ha fatto il suo tempo. Che senso ha questo parlarmi addosso, questo continuo monologare in solitaria? Reitero attraverso la scrittura questa mia chiusura asfittica che non porta a nessun giovamento. Cerco un dialogo, ma sono incapace di instaurarlo. Tanto vale tacere. Tanto vale tenere tutto per sé, piuttosto che gettare al vento, a casaccio, in attesa di una risposta. Si vede che me lo merito questo silenzio, che il muro che mi sono costruita attorno ha funzionato e nessuno ha più intenzione di scalarlo. Non era questo che volevo?
No.
"Dipende soltanto da te".
Perfetto! Allora sono fottuta! :) Ma questo già lo sapevo.
Retorico ma vero. Quanto più ti aspetti qualcosa e istintivamente lo pretendi, pur sapendo razionalmente quanto tutto questo sia sbagliato, tanto meno questo qualcosa ti sarà dato perché non è così che funziona.
L'Universo richiede messaggi chiari e chiarezza d'intenti, alla confusione risponde con la confusione. Input = Output. Come in un diagramma.
Sei certa di aver proclamato all'Universo il tuo giusto intento?
(Ormai parlo da sola come i matti. Dev'essere nel mio DNA)
YUKI, AKA PRISMA Permissions beyond the scope of this license may be available here. SOUNDTRACK: Phil Collins - Another Day In Paradise
Mi mancano le tue parole. Le parole che restano strozzate in gola. Che si avvoltolano su se stesse e rimangono impigliate. Nodi da sciogliere che diventano sempre più stretti. Anaconde accartocciate che stringono e stringono ogni cosa tra le proprie spire.
Quattro anni sono lunghi da lasciar passare. Ora che sono ormai alle mie spalle manca un ultimo filo sottile ma resistente che io sola posso tagliare. Il mio incedere è ancora bloccato. Il mio bozzolo è sempre asfittico. La terra è cambiata, ma se non viene dissodata difficilmente darà buoni frutti.
Polvere e vecchie scartoffie sono ancora lì. Soltanto due giorni fa ho trovato la forza di metterci mano. Di rimuovere la prima e selezionare tra le seconde. Gettare via senza rimpianti timide prove del tempo trascorso. Tutta una vita in otto metri quadri. Non è facile farci i conti. Ciò che è fuori è anche dentro. Mettere ordine nel Caos, quando non è fonte di creatività, ma impedimento.
Energia intrappolata. Rabbia retroversoflessa. Per ironizzare su un termine medico che un giorno di tanto tempo fa mi fu appioppato senza spiegazioni. Chissà che diavolo significa. In concreto ancora non l'ho capito.
Sangue fresco. Trascurarsi per prendersi cura di qualcun altro. Incredibile ma vero. Sono (stata) capace di farlo.
Giorni fa ho letto che altri che avevano intrapreso - e continuano tuttora - il mio stesso cammino, quello che ho interrotto, non sono stati pagati e sono entrati in causa. Io, a ripensarci, sono stata fin troppo fortunata. L'ho capito ex post. Due sole volte venni 'invitata' al banchetto. Per merito, e questo mi rende orgogliosa. Ma almeno sono stata pagata per il mio, pur breve, lavoro. Tutto sommato il fatto che non mi abbiano più chiamato, col senno di poi, si è rivelato un bene. Quanta amarezza. Talento buttato nel cesso. Guerre intestine, ma in fondo queste ultime notizie mi ricordano ancora una volta che non è stata (tutta) colpa mia.
Mi mancano le tue parole, in questo silenzio che sembra essere ormai diventato una costante. Cosa è cambiato? Cosa NON è cambiato?
Mi mancano le tue parole. Mi mancano davvero.
YUKI, AKA PRISMA Permissions beyond the scope of this license may be available here. SOUNDTRACK: Simple Minds - Shake Off The Ghosts