The Power Of Introverts In A World That Can't Stop Talking.
E' il sottotitolo del libro che dà il titolo al post e che mi ha folgorato in volo, sulla via di Damasco. Una rivelazione. Per 31 anni mi sono sentita ripetere - dai professori a scuola, dai colleghi di lavori vari, dalla televisione, dai corsi universitari - che introverso è sinonimo di perdente, di sfigato, che si può essere bravi quanto si vuole ma se non ci si sa vendere in pubblico si è spacciati. Che l'introversione, insomma, è una tara, una macchia, qualcosa di cui vergognarsi, che può condannarci all'emarginazione, all'isolamento.
E invece no! Susan Cain in questo libro di recente pubblicazione in UK manda al diavolo un secolo - il ventesimo - di manipolazioni culturali occidentali di stampo statunitense e rimarca che estroversione ed introversione sono entrambe utili alla società e spesso proprio le persone più introverse e riflessive sono state alla base di grandi rivoluzioni nella storia umana. Un caso tra tutti? La piccola e minuta Rosa Parks. Proprio lei, che rifiutò di alzarsi dal sedile riservato ai bianchi all'interno di quell'autobus che diede il là alla rivoluzione afroamericana che fu poi condotta dal più famoso Martin Luther King, che proprio con Rosa si complimentò per il suo coraggio, tanto più potente proprio perché nato da una risoluta pacatezza.
Sto procedendo lentamente alla lettura del libro, comprato a Heathrow dopo averne letto una recensione su una di quelle anonime riviste di bordo della compagnia aerea con la quale viaggiavo. Mi ero ripromessa: se quando arrivo lo trovo al volo sullo scaffale della libreria dell'aeroporto lo compro! E così è stato. La sua copertina bianca e quella parola, QUIET, stampata all'interno di una nuvola da fumetto mi hanno conquistata al primo sguardo. E' stato come, di colpo, essere liberati da una maledizione. Quella di un silenzio vissuto da sempre, quando c'è, come una colpa, un qualcosa di cui vergognarsi, in un mondo in cui se non dici, se non interagisci vieni visto come un idiota, qualcuno che non ha idee. Mentre dentro magari hai un mondo che ribolle, ma richiede più tempo per arrivare a maturazione, molto più del tempo di un veloce botta e risposta, spesso sgomitando tra altre voci che non sempre dicono la cosa più intelligente, solo sono molto più abili nell'esternarla e farsi largo nel coro.
Nei giorni seguenti, nel corso dello stesso viaggio, una persona, un tempo molto più insicura e inibita di adesso, mi ha detto, quasi rimproverandomi (come forse, ho pensato, qualcun altro a suo tempo aveva fatto con lui): "Ogni volta che tu non esprimi quello che senti e che pensi anche gli altri perdono qualcosa!". E credetemi, quando guerre intestine e autodafè tentano di ripartire alla carica spingendomi alla rinuncia in questa eterna lotta per uscire dal guscio, quelle parole mi tornano in mente come una carezza, da pari a pari. Come una mano, tesa nel vuoto a ricordarmi che vale sempre la pena di uscire là fuori e rischiare, anche di sembrare ridicoli, perché ogni volta che ci censuriamo per paura - il più delle volte di vedere riflessi nelle reazioni degli altri i nostri stessi giudizi sulla nostra persona - una parte di noi viene lasciata morire lentamente in fondo a un baule polveroso.
Io non lo so come si fa a fare amicizia in un posto nuovo, da adulti. O meglio: razionalmente sì, lo so benissimo. E' la pratica che mi frega! E non provo imbarazzo - non più - ad ammetterlo. So di non essere l'unica, so molto bene però che dirlo equivale a correre il rischio di essere stigmatizzati come "handicappati sociali". Me ne frego. Non c'è niente di male a dire, una volta per tutte, che questo nostro mondo occidental-decadente votato al sucCesso non è fatto per gli introversi e che la maggior parte di loro ha imparato a non sembrarlo, facendo uno sforzo immane. Che un introverso difficilmente riuscirà a fare amicizia entrando semplicemente in un bar o attaccando bottone col primo che capita. Che all'introverso occorrono più tempo e soprattutto occasioni concrete per incontrare persone, in un contesto che non sia mordi e fuggi ma rilassante e stimolante.
Sono dell'idea che fare cose insieme sia il mezzo più efficace per permettere anche a chi si apre lentamente di conoscere e farsi conoscere. Se poi qualche volenteroso estroverso volesse far da apripista come auspicava il buon Bugo nella nota canzone tormentone di qualche tempo fa, è il benvenuto. Sempre meglio che attaccarsi un cartello addosso con su scritto: "Hi! I'm new, here. I'm looking for friends :)".
E' il sottotitolo del libro che dà il titolo al post e che mi ha folgorato in volo, sulla via di Damasco. Una rivelazione. Per 31 anni mi sono sentita ripetere - dai professori a scuola, dai colleghi di lavori vari, dalla televisione, dai corsi universitari - che introverso è sinonimo di perdente, di sfigato, che si può essere bravi quanto si vuole ma se non ci si sa vendere in pubblico si è spacciati. Che l'introversione, insomma, è una tara, una macchia, qualcosa di cui vergognarsi, che può condannarci all'emarginazione, all'isolamento.
E invece no! Susan Cain in questo libro di recente pubblicazione in UK manda al diavolo un secolo - il ventesimo - di manipolazioni culturali occidentali di stampo statunitense e rimarca che estroversione ed introversione sono entrambe utili alla società e spesso proprio le persone più introverse e riflessive sono state alla base di grandi rivoluzioni nella storia umana. Un caso tra tutti? La piccola e minuta Rosa Parks. Proprio lei, che rifiutò di alzarsi dal sedile riservato ai bianchi all'interno di quell'autobus che diede il là alla rivoluzione afroamericana che fu poi condotta dal più famoso Martin Luther King, che proprio con Rosa si complimentò per il suo coraggio, tanto più potente proprio perché nato da una risoluta pacatezza.
Sto procedendo lentamente alla lettura del libro, comprato a Heathrow dopo averne letto una recensione su una di quelle anonime riviste di bordo della compagnia aerea con la quale viaggiavo. Mi ero ripromessa: se quando arrivo lo trovo al volo sullo scaffale della libreria dell'aeroporto lo compro! E così è stato. La sua copertina bianca e quella parola, QUIET, stampata all'interno di una nuvola da fumetto mi hanno conquistata al primo sguardo. E' stato come, di colpo, essere liberati da una maledizione. Quella di un silenzio vissuto da sempre, quando c'è, come una colpa, un qualcosa di cui vergognarsi, in un mondo in cui se non dici, se non interagisci vieni visto come un idiota, qualcuno che non ha idee. Mentre dentro magari hai un mondo che ribolle, ma richiede più tempo per arrivare a maturazione, molto più del tempo di un veloce botta e risposta, spesso sgomitando tra altre voci che non sempre dicono la cosa più intelligente, solo sono molto più abili nell'esternarla e farsi largo nel coro.
Nei giorni seguenti, nel corso dello stesso viaggio, una persona, un tempo molto più insicura e inibita di adesso, mi ha detto, quasi rimproverandomi (come forse, ho pensato, qualcun altro a suo tempo aveva fatto con lui): "Ogni volta che tu non esprimi quello che senti e che pensi anche gli altri perdono qualcosa!". E credetemi, quando guerre intestine e autodafè tentano di ripartire alla carica spingendomi alla rinuncia in questa eterna lotta per uscire dal guscio, quelle parole mi tornano in mente come una carezza, da pari a pari. Come una mano, tesa nel vuoto a ricordarmi che vale sempre la pena di uscire là fuori e rischiare, anche di sembrare ridicoli, perché ogni volta che ci censuriamo per paura - il più delle volte di vedere riflessi nelle reazioni degli altri i nostri stessi giudizi sulla nostra persona - una parte di noi viene lasciata morire lentamente in fondo a un baule polveroso.
Io non lo so come si fa a fare amicizia in un posto nuovo, da adulti. O meglio: razionalmente sì, lo so benissimo. E' la pratica che mi frega! E non provo imbarazzo - non più - ad ammetterlo. So di non essere l'unica, so molto bene però che dirlo equivale a correre il rischio di essere stigmatizzati come "handicappati sociali". Me ne frego. Non c'è niente di male a dire, una volta per tutte, che questo nostro mondo occidental-decadente votato al sucCesso non è fatto per gli introversi e che la maggior parte di loro ha imparato a non sembrarlo, facendo uno sforzo immane. Che un introverso difficilmente riuscirà a fare amicizia entrando semplicemente in un bar o attaccando bottone col primo che capita. Che all'introverso occorrono più tempo e soprattutto occasioni concrete per incontrare persone, in un contesto che non sia mordi e fuggi ma rilassante e stimolante.
Sono dell'idea che fare cose insieme sia il mezzo più efficace per permettere anche a chi si apre lentamente di conoscere e farsi conoscere. Se poi qualche volenteroso estroverso volesse far da apripista come auspicava il buon Bugo nella nota canzone tormentone di qualche tempo fa, è il benvenuto. Sempre meglio che attaccarsi un cartello addosso con su scritto: "Hi! I'm new, here. I'm looking for friends :)".
"Introversion – along with its cousins sensitivity, seriousness, and shyness – is now a second-class personality trait, somewhere between a disappointment and a pathology. Introverts living under the Extrovert Ideal are like women in a man's world, discounted because of a trait that goes to the core of who they are. Extroversion is an enormously appealing personality style, but we've turned it into an oppressive standard to which most of us feel we must conform.
We like to think that we value individuality, but all too often we admire one type of individual – the kind who is comfortable "putting himself out there".
But we make a grave mistake to embrace the Extrovert Ideal so unthinkingly. Some of our greatest ideas, art, and inventions – from the theory of evolution to Van Gogh's sunflowers to the personal computer – came from quiet and cerebral people who knew how to tune in to their inner worlds and the treasures to be found there."
YUKI, AKA PRISMA
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SOUNDTRACK: ASK - THE SMITHS
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2 commenti:
La mia esperienza di vita è molto simile alla tua. Una volta ad un colloquio di lavoro poco dopo la laurea l'intervistatore con fare bonario da zio mi disse:
- anch'io sono un timido, ma cerchi di liberarsi della timidezza perché le creerà problemi. Sa quanti colleghi ne approfitteranno?
Comunque anche in USA "la forza degli introversi" si sta facendo strada. O almeno sta succedendo nella mia azienda. Se ne parla nei corsi di formazione per manager.
Un saluto
Menomale che c'è qualcuno che mi capisce :D Ed era ora che cambiassero musica, ma quanto c'è voluto!
Grazie per il commento, Dioniso.
A presto!
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