29.7.12

Sunshine




E poi capita che qualcuno, dall'altra parte del pianeta, spenda tempo e soldi per mandarti un regalo speciale, come segno - ma non solo - di gratitudine per una parola uscita dal cuore durante un incontro di quelli che ti cambiano la vita e il modo di concepirla.
Capita anche che qualcun altro abbia improvvisamente voglia di vederti e, nel giro di qualche mail, le distanze diventino zero e ci si ritrovi a parlare per ore, come se non si fosse fatto altro per anni. E finisci per sentirti una perfetta idiota soltanto ad aver pensato che la tua compagnia non fosse (più) desiderabile.

Capita poi che qualcuno che non hai ancora mai visto - ma che senti di conoscere da una vita - ti affidi un pezzettino di anima con la promessa di un caffè o un bicchiere di vino insieme, un giorno.
Capita che un incubo si trasformi in concime. E che la pianta inizi a cacciare fuori a fatica i suoi primi germogli. Puoi anche far finta di non crederci, quando la paura tenta di fotterti, ma sono lì e ti inchiodano alle tue responsabilità, che poi sono anche i tuoi sogni e li stavi aspettando da anni.

Novembre. Una promessa di nuova vita per qualcuno. L'inizio di una resurrezione per qualcun altro. Continui a riguardare ogni giorno le foto del tuo matrimonio. Ti sembra a volte di guardare qualcun altro. Che la giovane donna raggiante vestita in blu non sia tu, ma un'altra. Che la famiglia acquisita non sia la tua, e che quei due bei ragazzoni che adesso sembrano due divi di Hollywood un tempo non siano stati dei bimbetti vispi e affettuosi a cui stringevi la mano per attraversare insieme la strada.

Ti concentri ogni volta su un particolare diverso, fino a perderti sempre nello stesso medesimo istante cristallizzato. Il dipinto sfocato di due anime che si sfiorano, incastonate in un disegno molto più grande, con la voglia di dirsi molto di più di quanto consenta quella semplice istantanea malriuscita e, proprio per questo, così suggestiva. Una traiettoria di sguardi che prelude a un non detto. Tutto l'affetto di una vita che resta silente e si manifesta furtivo, imbarazzato. Chi avrebbe mai detto che avessimo così tanto in comune? Chissà, forse un giorno ne parleremo.

Intanto, ogni giorno che passa mi sento a un passo dalla felicità assoluta e, al contempo, sull'orlo del baratro. Mi domando come sia possibile. Genetica, esperienza vissuta, ambiente? Che importa. Quello che conta, ora, è che so cosa rischio e non ho nessuna intenzione di restare a guardarMi. Il posto in cui mi trovo ora non è il punto d'arrivo, rischia al contrario di trasformarsi nel punto di non ritorno. Adesso sta a me trovare il filo e portarmi fuori dal labirinto.


YUKI, AKA PRISMA
Creative Commons License Permissions beyond the scope of this license may be available here.

Soundtrack: Trembling Hands - The Temper Trap*
 


Treading the ground I once used to know People are strangers The same as before The streets look familiar I remember the park Where I buried my head So deep in my hands All around me was dark This here city Is for the lonely ones You won't find no angels Selling maps to the lost...*
 
Toco tu boca, con un dedo toco el borde de tu boca, voy dibujándola como si saliera de mi mano, como si por primera vez tu boca se entreabriera, y me basta cerrar los ojos para deshacerlo todo y recomenzar, hago nacer cada vez la boca que deseo, la boca que mi mano elige y te dibuja en la cara, una boca elegida entre todas, con soberana libertad elegida por mí para dibujarla con mi mano en tu cara, y que por un azar que no busco comprender coincide exactamente con tu boca que sonríe por debajo de la que mi mano te dibuja. Me miras, de cerca me miras, cada vez más de cerca y entonces jugamos al cíclope, nos miramos cada vez más de cerca y los ojos se agrandan, se acercan entre sí, se superponen y los cíclopes se miran, respirando confundidos, las bocas se encuentran y luchan tibiamente, mordiéndose con los labios, apoyando apenas la lengua en los dientes, jugando en sus recintos donde un aire pesado va y viene con perfume viejo y un silencio. Entonces mis manos buscan hundirse en tu pelo, acariciar lentamente la profundidad de tu pelo mientras nos besamos como si tuviéramos la boca llena de flores o de peces, de movimientos vivos, de fragancia oscura. Y si nos mordemos el dolor es dulce, y si nos ahogamos en un breve y terrible absorber simultáneo de aliento, esa instantánea muerte es bella. Y hay una sola saliva y un solo sabor a fruta madura, y yo te siento temblar contra mí como una luna en el agua. (J. Cortazar)

18.7.12

Quiet.

The Power Of Introverts In A World That Can't Stop Talking.

E' il sottotitolo del libro che dà il titolo al post e che mi ha folgorato in volo, sulla via di Damasco. Una rivelazione. Per 31 anni mi sono sentita ripetere - dai professori a scuola, dai colleghi di lavori vari, dalla televisione, dai corsi universitari - che introverso è sinonimo di perdente, di sfigato, che si può essere bravi quanto si vuole ma se non ci si sa vendere in pubblico si è spacciati. Che l'introversione, insomma, è una tara, una macchia, qualcosa di cui vergognarsi, che può condannarci all'emarginazione, all'isolamento.

E invece no! Susan Cain in questo libro di recente pubblicazione in UK manda al diavolo un secolo - il ventesimo - di manipolazioni culturali occidentali di stampo statunitense e rimarca che estroversione ed introversione sono entrambe utili alla società e spesso proprio le persone più introverse e riflessive sono state alla base di grandi rivoluzioni nella storia umana. Un caso tra tutti? La piccola e minuta Rosa Parks. Proprio lei, che rifiutò di alzarsi dal sedile riservato ai bianchi all'interno di quell'autobus che diede il là alla rivoluzione afroamericana che fu poi condotta dal più famoso Martin Luther King, che proprio con Rosa si complimentò per il suo coraggio, tanto più potente proprio perché nato da una risoluta pacatezza.

Sto procedendo lentamente alla lettura del libro, comprato a Heathrow dopo averne letto una recensione su una di quelle anonime riviste di bordo della compagnia aerea con la quale viaggiavo. Mi ero ripromessa: se quando arrivo lo trovo al volo sullo scaffale della libreria dell'aeroporto lo compro! E così è stato. La sua copertina bianca e quella parola, QUIET, stampata all'interno di una nuvola da fumetto mi hanno conquistata al primo sguardo. E' stato come, di colpo, essere liberati da una maledizione. Quella di un silenzio vissuto da sempre, quando c'è, come una colpa, un qualcosa di cui vergognarsi, in un mondo in cui se non dici, se non interagisci vieni visto come un idiota, qualcuno che non ha idee. Mentre dentro magari hai un mondo che ribolle, ma richiede più tempo per arrivare a maturazione, molto più del tempo di un veloce botta e risposta, spesso sgomitando tra altre voci che non sempre dicono la cosa più intelligente, solo sono molto più abili nell'esternarla e farsi largo nel coro.

Nei giorni seguenti, nel corso dello stesso viaggio, una persona, un tempo molto più insicura e inibita di adesso, mi ha detto, quasi rimproverandomi (come forse, ho pensato, qualcun altro a suo tempo aveva fatto con lui): "Ogni volta che tu non esprimi quello che senti e che pensi anche gli altri perdono qualcosa!". E credetemi, quando guerre intestine e autodafè tentano di ripartire alla carica spingendomi alla rinuncia in questa eterna lotta per uscire dal guscio, quelle parole mi tornano in mente come una carezza, da pari a pari. Come una mano, tesa nel vuoto a ricordarmi che vale sempre la pena di uscire là fuori e rischiare, anche di sembrare ridicoli, perché ogni volta che ci censuriamo per paura - il più delle volte di vedere riflessi nelle reazioni degli altri i nostri stessi giudizi sulla nostra persona - una parte di noi viene lasciata morire lentamente in fondo a un baule polveroso.

Io non lo so come si fa a fare amicizia in un posto nuovo, da adulti.  O meglio: razionalmente sì, lo so benissimo. E' la pratica che mi frega! E non provo imbarazzo - non più - ad ammetterlo. So di non essere l'unica, so molto bene però che dirlo equivale a correre il rischio di essere stigmatizzati come "handicappati sociali". Me ne frego. Non c'è niente di male a dire, una volta per tutte, che questo nostro mondo occidental-decadente votato al sucCesso non è fatto per gli introversi e che la maggior parte di loro ha imparato a non sembrarlo, facendo uno sforzo immane. Che un introverso difficilmente riuscirà a fare amicizia entrando semplicemente in un bar o attaccando bottone col primo che capita. Che all'introverso occorrono più tempo e soprattutto occasioni concrete per incontrare persone, in un contesto che non sia mordi e fuggi ma rilassante e stimolante.

Sono dell'idea che fare cose insieme sia il mezzo più efficace per permettere anche a chi si apre lentamente di conoscere e farsi conoscere. Se poi qualche volenteroso estroverso volesse far da apripista come auspicava il buon Bugo nella nota canzone tormentone di qualche tempo fa, è il benvenuto. Sempre meglio che attaccarsi un cartello addosso con su scritto: "Hi! I'm new, here. I'm looking for friends :)".



"Introversion – along with its cousins sensitivity, seriousness, and shyness – is now a second-class personality trait, somewhere between a disappointment and a pathology. Introverts living under the Extrovert Ideal are like women in a man's world, discounted because of a trait that goes to the core of who they are. Extroversion is an enormously appealing personality style, but we've turned it into an oppressive standard to which most of us feel we must conform.
We like to think that we value individuality, but all too often we admire one type of individual – the kind who is comfortable "putting himself out there".
But we make a grave mistake to embrace the Extrovert Ideal so unthinkingly.  Some of our greatest ideas, art, and inventions – from the theory of evolution to Van Gogh's sunflowers to the personal computer – came from quiet and cerebral people who knew how to tune in to their inner worlds and the treasures to be found there."

YUKI, AKA PRISMA
Creative Commons License Permissions beyond the scope of this license may be available here.

SOUNDTRACK: ASK - THE SMITHS


14.7.12

Sfigati Sì, Ma Glam!



Oggi sono arrivata ad una conclusione quanto mai rilevante (eeeeeh, vabbè! Mo' nun s'allargàmo!). Che c'è modo e modo di essere sfigati o losers (per dirla all'inglese, che tanto ce piace!). Si può essere sfigati inside & outside, ma diventare talmente abili negli anni a fare di questa condizione un vanto, da trasformarlo  in un vestito che sembra esserci stato cucito perfettamente addosso. Sono gli sfigati glam, capaci di costruirsi attorno una patina sfavillante di sfigaggine così cool che finiscono per ritrovarsi uno stuolo inimmaginabile di fan e sostenitori alle calcagna, nel virtuale così come nel reale. Ma propenderei per la netta supremazia del primo sul secondo.

Lo sfigato glam è un ossimoro vivente, un uomo (o una donna) che cammina perfettamente in bilico (o, per lo meno, è abilissimo a farcelo credere) sulla propria nerditudine, sulla propria indesiderabilità sociale, il che  lo rende - e qui sta il paradosso! - tutto d'un tratto ultra seguito (il più delle volte da altri sfigati che in lui vedono l'agognato riscatto) ed elevato a guru del mantra: "sfigati si può e si deve, ma con stile!". Il fatto di avere così tanti followers o likers, che dir si voglia, dovrebbe in teoria far perdere allo sfigato in questione il suo titolo, ma questo in effetti non accade. Potere della comunicazione e dell'effetto imitazione.

E tutti gli altri? Gli sfigati anonimi? Quelli che ancora non riescono a farsi una ragione della propria diversità e anzi bramano da tempo immemore di potersi disfare finalmente di quel costante senso di inadeguatezza, che nei casi più gravi sfocia addirittura nella fobia sociale e conduce all'isolamento in cui spesso si sentono confinati dai propri stessi limiti? Se la pìjano in der secchio. Che tradotto significa che li vedrete (?) macerare in silenzio, domandandosi come minchia sia possibile che il primo che spara una cazzata ma lo fa straconvinto sia sempre il più applaudito e ricercato, mentre a loro, tapini, non se li fila mai nessuno. Finiranno poi, stanchi di non esser mai ascoltati, per tacere del tutto. Tanto, in fondo, chi se ne accorgerebbe? 

McLuhan una volta ha detto: "il medium è il messaggio".
Me sa' tanto che c'aveva ragione!

Caro Beck, che sei nelle mie casse... pensaci tu!


YUKI, AKA PRISMA
Creative Commons License Permissions beyond the scope of this license may be available here.


Soundtrack: Loser - Beck
 

4.7.12

Trasloco Infinitesimale


Strane Alchimie. 

Ricordi, polvere, foto, carezze. 
La luna, il mare, ancora polvere e Tu. 
Scoprire che in fondo siamo sempre stati quello che siamo. 
Sempre in divenire. 
Andare. Tornare. Partire. 

Sognare.




Durante il mio ennesimo ritorno nel luogo in cui sono cresciuta, in questo trasloco infinitesimale che da un anno a questa parte mi vede scomporre e ricomporre il puzzle della mia caotica esistenza, va via via ridisegnandosi la Me che avevo perduto, l'origine di tutto. Scopro con stupore - chissà perché lo avevo rimosso! - che scrivevo già allora. Poesiole adolescenziali, niente di speciale, una l'avevo pure tradotta in inglese. Non mi ha stupito tanto il fatto di averla scritta, quanto che l'avessi completamente dimenticato. Credevo fosse stata una necessità più recente, dettata da un bisogno di trascendenza che - a posteriori - ho scoperto essermi servita per la sopravvivenza. Ed eccoli là, quei primi passi incerti, con una calligrafia molto più misurata, equilibrata di quella di oggi, per la quale al tempo avevo ricevuto persino dei complimenti. Mai avrebbero potuto immaginare cosa vi si nascondesse dietro...

Ed ecco, poi, dal fondo del cassetto saltar fuori una specie di diario e dentro alcune pagine di quaderno datate "maggio 1999". Sono i miei pensieri annotati poco prima della fine del liceo e l'inizio degli esami di maturità. In quelle righe scopro la ragione del mio inseguire, molti anni più tardi, idealizzate chimere di sogni sfuggenti, nell'irrazionale pulsione - che quel vecchio scritto chiarisce inequivocabilmente - di colmare le lacune di un'adolescenza non vissuta appieno. Incredibile come allora apparissi convinta di averla scampata, di essere sopravvissuta definitivamente all'uragano, come se questo non potesse più tornare. Ancora oggi, che mancano pochi mesi al compimento dei miei 32 anni, ritrovo in quelle parole l'ardore e la fierezza di aver vinto una battaglia invisibile ai più e il senso della volontà di vivere che mi scorreva nelle vene e che mi aveva permesso di sopravvivere a tutto. Non sono più quell'essere goffo e mal vestito della foto di classe dell'ultimo anno, anche questa sbucata fuori dal medesimo cassetto. Che orrore rivedermi! Fortuna che ci ha pensato quel "Detenuti di un manicomio criminale nell'ora d'aria" scritto a guisa di didascalia a farmi ridere di gusto e dimenticare quanto non mi piacessi in quello scatto.

Ah, se potessi tornare indiet... Ma neanche morta! Mi piaccio così, come sono oggi! E anche se c'è ancora tanto da migliorare, cambiare, plasmare, il nucleo è sempre quello! Sento che sono in cammino, che forse, dopo tanto penare, il quadro si sta facendo sempre più chiaro nella mia testa. Ora so quali sono i miei limiti, ormai so riconoscere quella fastidiosa morsa allo stomaco che in determinate circostanze mi lascia senza fiato. E' in quel preciso momento che un "dèmone" - mi è sempre piaciuta questa metafora! - mi sta sfidando. Colpo su colpo affronto quei fastidiosi automatismi che tentano di farmi restare incagliata, che impediscono il mio fluire.

Mi sto liberando. Sono felice di me stessa, dopo tanto darmi addosso. Ora che so perché sono così, so anche come posso buttare giù questa gabbia. Ogni giorno che passa se ne va un sottile strato che non voglio più. Ed è bellissimo ricominciare a respirare...


Ritrovamenti dal passato
Notte di luna piena
La ragione di tutto.

Una canzone apre le porte a un romanzo.
Due vite a una svolta.

Abbiamo finalmente imboccato la Strada?

Tu sogna, sogna forte!
Io farò sempre il tifo per te.

 
YUKI, AKA PRISMA
Creative Commons License Permissions beyond the scope of this license may be available here.


Soundtrack: I Believe In You - Talk Talk