...e nel calore di certi lunghi, interminabili abbracci...
dimenticare l'anaffettività del mondo e smettere, per un istante,
di essere soltanto monadi, in orbita nel vuoto.
dimenticare l'anaffettività del mondo e smettere, per un istante,
di essere soltanto monadi, in orbita nel vuoto.
Varcare un limite, ritrovarsi al di là di noi stessi, di ciò che siamo e che siamo stati, senza più riuscire a vedere come saremo. Non sapere più chiedere aiuto, non essere capaci di affidarsi, perché "sicuri" che, nel momento stesso in cui avremo più bisogno, ci lasceranno soli. E quando dico soli, parlo delle maledette monadi che siamo in questa società che ci costringe a correre e a rincorrerci dietro i mille, inevitabili impegni necessari per sopravvivere, noi che ci siamo dimenticati cosa sia Vivere.
Vivere davvero, respirare l'odore del mare e farlo entrare in profondità, perdersi nelle innumerevoli variazioni aeree di una nuvola, rintracciare nel sole riflesso sull'acqua al tramonto la propria stairway to heaven in un mistico connubio tra il nostro nucleo cangiante e l'universo che si apre davanti a noi, senza che ne riusciamo mai a scorgere l'entrata. Ci scuote dal torpore soltanto il balenare dell'ultimo spicchio di sole prima che s'inabissi in mare: l'entrata si sta ormai richiudendo e ancora una volta l'abbiamo capito troppo tardi.
L'aria che fende il mio involucro fatto di carne, lacrime e sangue mi accompagna in questa nostalgica passeggiata rivolta al presente. Per un attimo mi sono sentita sospesa in questo vortice che non ho mai chiesto, per un lungo, interminabile istante un black out mi ha annebbiato completamente a me stessa. La scena di un film toccante e profondo mi ha ricordato quanto sia labile il confine tra l'autodistruzione e la resistenza, quanto sia umanamente difficile sostenere pesi di siffatta portata.
Una carrellata di tipi umani mi viene incontro, senza guardarli ne percepisco l'aura mentre siedono ignari sulle loro panchine, gustando un frozen yoghurt, scambiandosi effusioni, guardando l'aria davanti a sé finché uno di loro, la voce impastata e l'aria assente mi chiede da accendere. "Non fumo, mi spiace", e sorrido. Sì, a lui riesco a sorridere, povero outsider che non è altro. Forse perché per altri versi sono un'outsider io stessa e non me ne vanto.
Un fremito di immenso mi ricorda quanto è difficile viversi, senza aggrapparsi. E quanto sia difficile per gli altri non sentirsi inadeguati davanti a un dolore troppo grande, tanto da lasciarli privi di parole, al punto da restarsene in disparte, a volte per disagio, altre per discrezione. Quante volte mi sono sentita io stessa così. Come vorrei gridar loro che non fa niente, che non mi importa delle parole, che non voglio soluzioni, perché so che non ce ne sono. Che mi basta percepire un po' del loro calore, sapere che il loro affetto per me non cambia, anche quando mi sento un peso, per me e per il resto del mondo. Che io sono lì, dentro di loro anche quando mi sento persa e non riesco più a ritrovarmi. Dio come vorrei perdermi dentro un abbraccio infinito...
Qualche giorno fa, mi sono ritrovata a scoppiare in lacrime davanti a una quasi sconosciuta, che a dispetto del suo diktat professionale non ha esitato ad avvicinarsi a me e ad accarezzarmi il braccio. Senza più riuscire a guardarla, nel tentativo di esternare ciò che sento in questo nuovo periodo di buio, ho sentito me stessa dire: "è come se avessi delle scaglie di vetro conficcate nella pelle." E vi assicuro che non c'è niente che possa sconfiggere questo senso di gelo meglio di un abbraccio, dello sguardo sincero di una persona preziosa, di una frase imperfetta, anche smozzicata, detta col cuore e che ti ricorda che esisti anche tu, che la tua vita vale ancora qualcosa, che meriti la tua fetta di felicità anche se hai sempre vissuto solo per gli altri, o quasi. Sapendo bene che non è stata una tua scelta.
La morte, chissà perché, ammutolisce. Non è difficile intuirne le ragioni, ma come ho scritto ultimamente, non ho paura tanto della morte quanto del tempo sprecato che la precede. E mi sono ricordata ancora una volta quanto mi manchi una passeggiata silenziosa da fare da soli o in due, un discorso profondo sull'esistenza e i suoi misteri e tutto ciò che va oltre la superficie sterile delle cose e del possedere. Ma non si può, se non in rari momenti fortunati. Ognuno ha la sua vita, e gli incastri diventano via via più difficili.
Guardarsi dentro per davvero, per la prima volta, e scoprire ciò che sapevamo già ma con quella dirompenza inedita che lascia atterriti davanti alle proprie mancanze, è come togliersi di colpo le lenti colorate con cui per anni abbiamo osservato la realtà. La nostra e quella dell'albero che ci ha generati. L'effetto che ne segue è devastante. Di colpo ci rivediamo fallibili e inadeguati nei gesti che fino a un momento fa avevamo sempre compiuto, magari con una punta di disagio, ma senza vederne le cause così chiaramente. Ogni pseudo fallimento nell'interazione con l'esterno si aggancia al nostro senso di colpa, al nostro senso di inadeguatezza, in ultima analisi allo schema distorto con cui il nostro carattere si è forgiato negli anni per adattarsi a un ambiente difficile, che ci ha resi satelliti di pianeti inadeguati. Ah, si potesse essere situazionisti dell'anima! Riuscire a realizzare il proprio détournement interiore... e utilizzare pezzi di noi in chiave diversa, smontando e riadattando gli atomi della nostra personalità per costruirne una migliore, anziché semplicemente limitarci a distruggere.
C'è un tempo per ogni cosa e, come ho spiegato a una persona preziosa, cadere in mille pezzi è qualcosa che non ci si può permettere in qualunque momento. Essere esposti al mondo nella propria fragile e dirompente nudità senza aver avuto il tempo di rigenerarci in un necessario, protettivo isolamento, è molto pericoloso. In gioco c'è la Vita.
Ce la metterò tutta, ma le corde, dopo un lungo e ostinato tirare, alla fine si spezzano. E non è proprio il caso di dare la colpa alla corda. Non facciamole anche questo torto.
YUKI, AKA PRISMA TBFKA MUSEUM Permissions beyond the scope of this license may be available here.
Immagine: Galaxy Merge
Soundtrack: Miss You - Trentemoller