9.7.10

It's A Long Way To The Top...




Prendere una canzone a caso e scrivere. Per il gusto di vedere cosa il mio inconscio ha da dire. Un tempo lo facevo spesso, era il mio modo per sopravvivere. Quotidiani esorcismi, vuoti a perdere, chiacchiere in libertà. A qualcuno piacevano anche. Un tempo ricambiavo, giravo, commentavo, era un reciproco scambio foriero di nuove parole, da accatastare sulle proprie. Si prendeva un filo e vi si intrecciava insieme un altro, di un colore diverso, e così via, ad libitum.
C'era un tempo in cui sognavo di fare della scrittura un mestiere. C'ero persino riuscita, per un breve periodo. Poi? Batoste, disillusioni, calcinculo e la Vita che (ri)prende il sopravvento. Non ho avuto più tempo, il countdown per me era stato innescato molto prima che iniziassi a correre. Dovevo ripensarmi. Passare alla tattica, una volta che la strategia si era rivelata impossibile con le munizioni e le riserve di energia a mia disposizione.

Cosa sono oggi? Senza rendermene conto ho come iniziato una specie di emersione. Lo stivale che continuava a tenermi la testa sott'acqua sembra essersi allontanato. Tutto questo ossigeno mi sconcerta, m'inebria, come uno scalatore inesperto in alta quota. Dio, se scivolassi e mi fracassassi il cranio! Però voglio salire ancora, a costo della vita. Pietre rotolano a valle, le sento sfuggire, sotto le suole delle mie scarpe. Le guardo precipitare, finché non si eclissano insieme a certi ricordi. Alzo lo sguardo. Il Sole è così vivo e pulsante, il mio scalare esplode in milioni di gocce che raccontano liquide il mio percorso di guerra. Ho sete. Così tanta che potrei suggere direttamente con le labbra dalla punta del ghiacciaio.

Milioni di nomi e nessuna identità. Milioni di identità e nessun nome. Un unico nucleo multiforme, cangiante, fluttuante. Sono io. A colpi di martello rimuovo i costrutti artificiosi, pezzi di corazza accumulati in anni di trinceramento, mi sorprendo colpevole per occultamento di un cadavere psicologico che permane, ma che non ho più intenzione di continuare a celare. Non è colpa mia, Santo Dio, me ne voglio liberare! Sono ancora viva, voglio respirare!

Ritrovo me, e il tempo che non aspetta Tempo. Mi raccolgo e, nottetempo, tento di riconciliarmi con centinaia di proliferazioni del mio essere.

Mi riconosci, adesso?
Ti prego, dì qualcosa, cazzo!
Se non hai nulla da dire, prova con la Musica, almeno.
Dimmi soltanto che non ti ho deluso...

T'indovino a stento. Riesco ancora a sentire il passo lento del tuo sguardo spento.

Un giorno, chissà, ritroverò anche il gusto di percorrerti da cima a fondo, insinuandomi dolente tra il tuo nero ed il tuo bianco. Anche se credo di aver dimenticato tutto. O di non averlo, in fondo, mai saputo.




YUKI, AKA PRISMA TBFKA MUSEUM

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Soundtrack: Soul Auctioneer (I'd be with him if I was damned too) - Death In Vegas

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi ricorda Kafka: la Terra Promessa dalla parte di Canaan o il mondo che è il deserto: poichè non c'è un terzo mondo per gli uomini...l'artista, questo uomo che Kafka voleva anche essere, preso dalla sua arte e dalla ricerca della sua origine...

Salvatore Fittipaldi

Mio ha detto...

Sai Yuki, ultimamente realizzo che ciò che si vive e si prova talvolta non lo si possa vedere. anche se è li e ci guarda. Quello che si è stati non andrà mai via. Purtroppo e per fortuna. Per fortuna perché, poi, si sbaglia solo meno anche se sempre allo stesso modo, quello che credevamo di aver superato. Questo almeno penso per me.

Sereno week-end Yu'!

Roberto