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Oggi è cominciato l'autunno. Non solo per la natura. La mia vita lavorativa ha avuto la sua primavera. I germogli dei miei talenti sono stati seminati, mostrando a chi doveva vederli i loro frutti. Ma il freddo delle stagioni a venire si fa già sentire, annunciando tempi duri. Nei silos il grano sta ormai per finire. Il raccolto che si credeva di ottenere nei mesi estivi è andato perduto. Colpa di temporali imprevisti in primavera, della disattenzione dei contadini, della scarsa perizia nell'arare il terreno.
E così, anche quei timidi germogli che a fatica si erano fatti strada a dispetto delle intemperie e della gramigna, devono trovare nuova terra in cui mettere radici. E prepararsi ad affrontare un altro inverno. Soli. Senza più un contadino disposto a prendersi cura di loro.
Penso questo, mentre in una stazione della metropolitana semideserta è ormai quasi notte e i Sigur Ròs mi fanno venire voglia di piangere. Le luci al neon sono un martello pneumatico nelle pupille. Il treno mi sta passando davanti, si ferma. So già che non lo prenderò. E se tu fossi seduto in uno di quei vagoni, sono sicura che potrai riconoscermi leggendo queste parole. Quando il treno riparte lancio la mia gomma da masticare sulle rotaie con un gesto liberatorio. Non lo faccio mai, non amo fare queste cose ma oggi ne ho avuto bisogno. Più volte stasera mi sarei volentieri lasciata scivolare fino a sedermi per terra in mezzo alla gente, rannicchiandomi con la testa sulle ginocchia e le braccia strette attorno alle gambe. Quelle gambe che mi hanno permesso di arrivare tanto lontano e che adesso ricominciano a vacillare.
È la resa? Sai che non può esserlo. Sei una combattente, seppur piena di fragilità. Ricordi a volte una tigre addormentata, pronta a graffiare ma solo senza far male. Quando proprio ti sembra che la vita si ostini a prendersi gioco di te. È una beffa? Ditemelo, vi prego. Le cose cambiano, si evolvono. Ma io non riesco più a stargli dietro. E sono stufa della stupidità della condizione umana, che incatena la sopravvivenza dei nostri corpi alla dipendenza dalle cose terrene. Questo rende tutto più complicato. Una matassa sempre più difficile da dipanare in questi assurdi tempi precari.
Un ragno si posa sulla mia fronte e da lì si cala sulla mia penna, fermandosi sulla punta mentre scrivo. Ragno porta guadagno. Il ragno finisce sul taccuino. È un segno? Chiudo con forza lo scrigno dei miei sfoghi fatti d'inchiostro e conservo per sempre il simbolo di un misterioso presagio. Forse un ottimo auspicio, quello che aspettavo.
Da domani, di nuovo pronti. Si ricomincia a scalare. Stavolta partendo di nuovo da valle...
Soundtrack: Svo Hljótt - Sigur Rós