A poche ore dal mio prossimo viaggio, la necessità di fermarmi e scrivere, vagheggiata e mai realizzata, purtroppo, da giorni, mi trattiene dal necessario e saggio riposo.
Ho riflettuto molto, di recente, sulla necessità del "nuovo" che va necessariamente preparata detronizzando prima il vecchio, scalzandolo con decisione dallo spazio che, il più delle volte, ha occupato per anni per inerzia, e non per effettivo merito o diritto dinastico. Questo processo richiede però primariamente un intimo convincimento che "si può e si deve" lasciar andare ciò che non ci serve, che ci è diventato estraneo, che se indossato ci porta a non riconoscerci più in quei panni che prima pure indossavamo come una seconda pelle ma, in fondo, era tutta una copertura.
Per cosa? Per uno strato più sincero, più limpido, più permeabile al mondo e alle sue ri-evoluzioni? O per quella perla nascosta che soltanto noi sappiamo di avere? Nessuna delle due. O forse entrambe. Quel che è certo è che per molto tempo ho faticato a liberarmi degli oggetti, dei vestiti, dei libri. Non importa quanto siano logori, inutilizzati o divenuti ormai a me irriconoscibili.
Ultimamente, però, modificandosi il mio rapporto con la dimensione del piacere e con la progressiva riduzione, ancorché lenta, di una certa mia rigidità, fisica e mentale, sta diventando sempre meno difficile eliminare almeno ciò che è palesemente stra-consumato, ciò che ha letteralmente fatto il suo tempo, ciò che in fondo non mi è mai appartenuto veramente. E finalmente anche lasciare andare tutto ciò che potrebbe pur continuare a vivere, ma altrove, con qualcun altro, di vita nuova.
Non tutto, va detto, dev'essere necessariamente defenestrato. Ci sono oggetti che facilitano il ricordo degli stati che abbiamo attraversato, come silenziosi e anonimi trofei che al solo guardarli ci dicono tutto. Ma talvolta l'ostinato voler conservare ad ogni costo qualsiasi cosa diventa azione morbosa, rallentando il necessario processo di crescita. Come a dire che la crisalide non può diventare farfalla se prima non lascia cadere il bozzolo che prima la proteggeva.
Accade così che il lascito non voluto di una mia vita lavorativa precedente esca dallo spazio angusto in cui era rimasto relegato e prenda strade nuove e che questo diventi persino occasione di rinnovamento anche in altri ambiti, foriero di nuove conoscenze e occasioni di convivialità. Non male. Se soltanto ogni volta non mi cogliesse una smania di prendere e andare via, cercando nuova aria! Forse in fondo per scappare ancora una volta da me, mentre mi cerco, talvolta mi trovo, poi rifuggo ancora in un continuo divenire che assume ora l'immagine della spirale aperta verso l'esterno, ora quella del vortice che si richiude in se stesso, spinto da una forza centripeta in lotta con la sua oppositrice forza centrifuga che cerca di riprendere nuovamente il comando. Con la consapevolezza che ho bisogno di entrambe, che entrambe mi appartengono, mi completano.
Domani, dicevo, un nuovo viaggio, diverso da tutti gli altri, eppur simile nell'intimo. La certezza che non potrò mai incontrarti in nessuno di questi, né ovunque io deciderò in futuro di posare il cappello,
come diceva qualcuno. Perché non è destino, a meno che non si decida di optare per un colpo di coda e stupirlo, interrompendo il flusso del Matrix con qualcosa di inaspettato. Come noi due che chiacchieriamo e sorridiamo, come se non avessimo mai smesso di farlo. Come una persona che si prepara ad accogliere l'altra che non vede da tempo ed è felice del suo arrivo, e non si sognerebbe mai di lasciarla sola ad aspettare oltre il tempo necessario per sbrigare l'imprescindibile. Come due persone che la distanza non allontana affatto, semmai avvicina, in cui mai si spezza qualcosa dentro, mai accade di sentire il "crack" dell'irreparabile, quello che fa sobbalzare l'anima e ci dice che sarà per sempre.
Oggi, mentre guidavo, pensavo che una volta ho detto che i cerchi si chiudono sempre. Il problema è capire quanto tempo ci mettono.
YUKI, AKA PRISMA
Soundtrack: Perfect Circle - R.E.M.