Seduta accanto al finestrino sulla poltroncina singola di una carrozza di seconda classe torno a Roma. E' strano, e insieme emozionante, guardare da un'altra prospettiva la strada di campagna dove la mia canetta ed io abbiamo passeggiato insieme, dove le ho dato fiducia e l'ho liberata del guinzaglio godendo con gli occhi e anche qualcosa in più della sua gioia per la libertà ritrovata, delle sue corse pazze e il suo tornare, al mio richiamo. Da me, che così tanto fatico a fidarmi degli altri e tu, da buona amica quale sei, me l'hai fatto notare.
Ricordo ancora il giorno in cui è arrivata a casa nostra e il tempo che ci è voluto per conoscerci, sfiorarci, annusarci, litigare e riappacificarci. Le sfide vinte insieme, le paure superate e quelle ancora vive. L'affetto che si trasmette, silenzioso, da uno sguardo all'altro, senza parole. Lei mi insegna che si può cambiare, drasticamente, quando siamo amati, guidati, accolti e lasciati liberi di essere noi stessi.
Il suo carattere emerge di giorno in giorno con più chiarezza. Lontana sembra ormai la timidezza, reclama coccole e territorio senza più timore. Quante risate mi fa fare! In strada non manca di lanciarsi alla rincorsa di carezze, puntando da lontano quegli abitanti del quartiere a cui sa di piacere e che piacciono a lei. Quanta gioia è per me vederla scorrazzare nei boschi, annusando a destra e a manca senza sosta, calpestare il fogliame, rotolarsi sulla schiena come un'ossessa e ogni tanto scavare. Con noi ha persino imparato a giocare! Ora un bastone, ora una pigna, ora un frisbee, persino al mare. Quest'ultimo anno, in modo diverso dal precedente, è stato duro. Ma di una cosa sono certa: adottare la canetta è stato un dei regali più grandi potessi farmi.
Maggio è stato il mese del cuore lanciato oltre ogni ostacolo, solcando l'oceano, incontrando anime sorelle lungamente attese, la cui onda positiva e luminosa continua ancora a guidarmi. Novembre sarà il mese della nuova semina. Non sarà facile, già lo so, e ho paura. Ma è ciò che desidero da tempo e sono fiera di me per aver trovato il coraggio. Non è facile perseguire un obiettivo come questo, ma non ho nessuna intenzione di fermarmi. A piccoli passi, uno dietro l'altro, sento di potercela fare. Di dovercela fare.
Ieri sono stata a trovare gli ex colleghi di mio padre. Una di loro continua a scrivermi ad ogni ricorrenza. A ottobre per una bella e una brutta. Le sono grata per farlo. L'ufficio non è più lo stesso e sono rimasti in pochi, nello stabile al di là della strada. L'ultima volta che ero stata nella vecchia sede ne ero uscita con un macigno sul cuore, troppe le emozioni, troppi i ricordi. Mi ero ripromessa di non tornare più lì, di risparmiarmi il magone. E invece no. Ci sono andata, con la scusa di portar loro qualcuna delle bomboniere che avevo confezionato per il mio matrimonio. Papà lo avrebbe fatto. Non mi aspettavo il regalo, e invece c'era pure quello. E non è l'oggetto materiale in sé, ma il gesto, che mi ha commosso. Gli uffici di una volta, con il lavoro che durava una vita, nello stesso posto, con le stesse persone, che alla fine diventano quasi una famiglia. Quel lavoro che oggi non esiste più.
Alemanno ha vietato i pranzi al sacco a Roma. Me ne sono fregata. In una piazza un po' nascosta e silenziosa, che quasi sembrava di essere Altrove, ho pasteggiato con acqua fresca di fontana e un tramezzino al salmone, acquistato al distributore automatico di una delle mie ex sedi universitarie. Devo mimetizzarmi ancora bene, ai miei 32 anni (appena) suonati, perché due studentesse mi hanno fermato per domandarmi dove fosse l'aula magna. Ho avuto una breve esitazione - sono anni che non metto piede là dentro -, poi ho risposto, convinta: "di sopra!". Ma in fondo non ne ero affatto sicura.
YUKI, AKA PRISMA
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Ricordo ancora il giorno in cui è arrivata a casa nostra e il tempo che ci è voluto per conoscerci, sfiorarci, annusarci, litigare e riappacificarci. Le sfide vinte insieme, le paure superate e quelle ancora vive. L'affetto che si trasmette, silenzioso, da uno sguardo all'altro, senza parole. Lei mi insegna che si può cambiare, drasticamente, quando siamo amati, guidati, accolti e lasciati liberi di essere noi stessi.
Il suo carattere emerge di giorno in giorno con più chiarezza. Lontana sembra ormai la timidezza, reclama coccole e territorio senza più timore. Quante risate mi fa fare! In strada non manca di lanciarsi alla rincorsa di carezze, puntando da lontano quegli abitanti del quartiere a cui sa di piacere e che piacciono a lei. Quanta gioia è per me vederla scorrazzare nei boschi, annusando a destra e a manca senza sosta, calpestare il fogliame, rotolarsi sulla schiena come un'ossessa e ogni tanto scavare. Con noi ha persino imparato a giocare! Ora un bastone, ora una pigna, ora un frisbee, persino al mare. Quest'ultimo anno, in modo diverso dal precedente, è stato duro. Ma di una cosa sono certa: adottare la canetta è stato un dei regali più grandi potessi farmi.
Maggio è stato il mese del cuore lanciato oltre ogni ostacolo, solcando l'oceano, incontrando anime sorelle lungamente attese, la cui onda positiva e luminosa continua ancora a guidarmi. Novembre sarà il mese della nuova semina. Non sarà facile, già lo so, e ho paura. Ma è ciò che desidero da tempo e sono fiera di me per aver trovato il coraggio. Non è facile perseguire un obiettivo come questo, ma non ho nessuna intenzione di fermarmi. A piccoli passi, uno dietro l'altro, sento di potercela fare. Di dovercela fare.
Ieri sono stata a trovare gli ex colleghi di mio padre. Una di loro continua a scrivermi ad ogni ricorrenza. A ottobre per una bella e una brutta. Le sono grata per farlo. L'ufficio non è più lo stesso e sono rimasti in pochi, nello stabile al di là della strada. L'ultima volta che ero stata nella vecchia sede ne ero uscita con un macigno sul cuore, troppe le emozioni, troppi i ricordi. Mi ero ripromessa di non tornare più lì, di risparmiarmi il magone. E invece no. Ci sono andata, con la scusa di portar loro qualcuna delle bomboniere che avevo confezionato per il mio matrimonio. Papà lo avrebbe fatto. Non mi aspettavo il regalo, e invece c'era pure quello. E non è l'oggetto materiale in sé, ma il gesto, che mi ha commosso. Gli uffici di una volta, con il lavoro che durava una vita, nello stesso posto, con le stesse persone, che alla fine diventano quasi una famiglia. Quel lavoro che oggi non esiste più.
Alemanno ha vietato i pranzi al sacco a Roma. Me ne sono fregata. In una piazza un po' nascosta e silenziosa, che quasi sembrava di essere Altrove, ho pasteggiato con acqua fresca di fontana e un tramezzino al salmone, acquistato al distributore automatico di una delle mie ex sedi universitarie. Devo mimetizzarmi ancora bene, ai miei 32 anni (appena) suonati, perché due studentesse mi hanno fermato per domandarmi dove fosse l'aula magna. Ho avuto una breve esitazione - sono anni che non metto piede là dentro -, poi ho risposto, convinta: "di sopra!". Ma in fondo non ne ero affatto sicura.
YUKI, AKA PRISMA
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